Introduzione a Kant
Videolezione sulla Critica della Ragion pura e testi dell’opera sui concetti centrali attraverso cui si snoda la videolezione
Il criticismo e il sistema della ragion pura
1. IL CRITICISMO
Immanuel Kant nacque a Koenisberg, importante città della Prussia orientale, nel 1724. Fece gli studi superiori al Collegium Fridericianum e poi si laureò presso l’Università della sua città. Nel 1755 ottenne la libera docenza universitaria; quindi, nel 1770, divenne professore ordinario di logica e metafisica presso l’Università di Konigsberg. Qui insegnò per un trentennio fino agli anni di una gravosa debolezza senile e della morte che lo colse nel 1804. Dal 1740 al al 1760, Kant si occupò soprattutto di studi scientifici e nel 1755 pubblicò la Storia naturale universale e teoria dei cieli; gli anni che vanno dal 1760 al 1770 segnarono, per Kant, una svolta fortemente filosofica negli studi e furono ricchi di una produzione letteraria la cui opera maggiore può essere rinvenuta nei Sogni di un visionario chiariti con i sogni della metafisica. Questo scritto testimonia l’influenza dell’empirismo inglese sul pensiero di Kant e il suo abbandono della pretesa a costruire una metafisica come scienza. Il 1770 fu, quindi, un anno cruciale nell’evoluzione del pensiero di Kant. Il filosofo pubblicò la Dissertazione sulla forma e i principi del mondo sensibile e intelligibile. E’, questo, uno scritto in cui Kant svolge la distinzione di fondo fra la fisionomia della conoscenza sensibile e quella della conoscenza intelligibile. Undici anni, comunque, ci sarebbero ancora voluti alla pubblicazione della prima grande opera che pone Kant fra i più importanti filosofi dell’intera storia della filosofia; nel 1781 uscì la prima edizione della Critica della ragion pura che fu seguita da una seconda edizione nel 1787. Il primo dei tre capolavori kantiani riguarda la teoria della conoscenza e della realtà stessa. Nel 1788 fu pubblicata la Critica della ragion pratica in cui Kant espose la sua teoria morale. Infine, nel 1790, uscì la terza grande opera kantiana, la Critica della facoltà di giudizio. Qui il filosofo espose la sua estetica. I grandi capolavori della maturità recano, nel merito oltre che nel titolo, una struttura concettuale analoga: una volta stabilito, nel segno dell’Illuminismo, che è la ragione a costituire la specifica essenza dell’uomo, nel segno del criticismo, Kant si occupa di stabilire quali siano i principi e i limiti della ragione teoretica, della ragione pratica e della facoltà del giudizio. Così si può a ragione dire che il criticismo kantiano rappresenta il compimento ultimo dell’Illuminismo moderno: l’Illuminismo aveva elevato la ragione dell’uomo a principio della conoscenza e dell’azione dell’uomo stesso; veniva emendato, sotto il segno dell’analisi razionale, ogni dogmatismo conoscitivo ed etico; il criticismo kantiano vuole, in ultimo, stabilire quali siano i criteri entro cui la ragione conoscitiva e morale può e deve operare senza farsi anche essa strumento del dogma e cadere nella fallacia teoretica e pratica. E’ bene sottolineare, da ultimo, che, se il criticismo kantiano vuole emendare la ragione dell’uomo da ogni sorta di dogmatismo, esso si distingue altresì per adoperarsi nella stessa emendazione da ogni sorta di scetticismo. La ragione dell’uomo, insomma, ha una certa costituzione e dei conseguenti limiti; sennonché è proprio in virtù di quella costituzione ed entro quei limiti che la razionalità può erigere la costruzione di un sapere teoretico e pratico che si sottraggono a ogni dubitare scettico.
[…] la matura capacità di giudicare dell’epoca non vuole più essere sorretta da un sapere apparente ed è un invito posto alla ragione di intraprendere a nuovo la conoscenza di sé e istituire una corte di giustizia che l’assicuri delle sue giuste rivendicazioni e per contro possa farla finita con tutte le pretese senza fondamento, non mediante decisioni arbitrarie ma secondo le sue leggi eterne e immutabili. E questo tribunale non è altro che la stessa critica della ragione pura. Sotto questo titolo io intendo, non una critica dei libri e dei sistemi, ma quella della facoltà di ragionare in generale, in considerazione di tutte le conoscenze alle quali la ragione può tendere […]
Kant, Critica della ragion pura, Prefazione
2. LA RIVOLUZIONE COPERNICANA
La concezione kantiana della struttura del mondo compendia e risolve in una sintesi epocale l’intera prospettiva della filosofia moderna. Gli antichi e i medievali avevano pensato che i principi costitutivi della realtà fossero immanenti alla realtà stessa e, quindi, il compito dell’intelletto umano non fosse altro che quello di riflettere e apprendere tali principi; la filosofia moderna, da Cartesio a Kant, opera invece una grandiosa rivoluzione nel modo di concepire la realtà e la stessa attività dell’intelletto umano. Con il filosofo di Koenisberg giunge a compimento l’idea secondo cui la realtà non ha una costituzione sua propria. O meglio: l’uomo non può conoscere la costituzione propria della realtà; piuttosto la realtà, che ha certo una sua autonomia ontologica, si configura per l’uomo, come il suo stesso intelletto se la rappresenta. Per dirla con i termini specifici kantiani: l’uomo non può conoscere la realtà quale essa è in sé, il cosiddetto noumeno; piuttosto l’uomo conosce la realtà per quanto le stesse forme della sua mente impongono alla realtà una struttura razionale. Nella filosofia antica, Platone immaginava il mondo come l’opera di un demiurgo che aveva dato a una materia caotica e informe un certo ordine razionale; l’intelletto dell’uomo aveva quindi il compito esclusivo di apprendere quale fosse l’ordine che il demiurgo aveva dato alla materia. Nella filosofia kantiana il demiurgo che conferisce un certo ordine alla materia è lo stesso intelletto dell’uomo; ed è solo perché è l’intelletto dell’uomo a conferire la struttura razionale alla realtà che poi lo stesso intelletto può conoscere tale struttura della realtà. Ancora meglio: l’uomo conosce la realtà proprio nell’atto in cui la costruisce secondo i suoi parametri razionali. Solo in questo orizzonte le matematiche e la fisica, sostiene Kant, hanno potuto costituirsi come scienze esatte; e hanno indicato come l’uomo può avere conoscenze universali solo perché è il suo intelletto a regolare la materia secondo i suoi stessi parametri.
La matematica, dai tempi più remoti a cui giunge la storia della ragione umana, è entrata, col meraviglioso popolo dei Greci, sulla via sicura della scienza. Soltanto, non bisogna credere che le sia riuscito cosi facile come alla logica, dove la ragione ha da fare solo con se stessa, trovare, o meglio aprire a se medesima, la via regia; io credo piuttosto che a lungo (specialmente presso gli Egizi) sia rimasta ai tentativi incerti, e che questa trasformazione definitiva debba essere attribuita a una rivoluzione, posta in atto dalla felice idea d’un uomo solo, con una ricerca tale che, dopo di essa, la via da seguire non poteva più essere smarrita, e la strada sicura della scienza era ormai aperta e tracciata per tutti i tempi e per infinito tratto.[…] II primo che dimostrò il triangolo isoscele (si chiamasse Talete o come si voglia), fu colpito da una gran luce: perché comprese ch’egli non doveva seguire passo a passo ciò che vedeva nella figura, né attaccarsi al semplice concetto di questa figura, quasi per impararne le proprietà; ma, per mezzo di ciò che per i suoi stessi concetti vi pensava e rappresentava (per costruzione), produrla; e che, per sapere con sicurezza qualche cosa a priori, non doveva attribuire alla cosa altro se non ciò che scaturiva necessariamente da quello che, secondo il suo concetto, egli stesso vi aveva posto.
La fisica giunse ben più lentamente a trovare la via maestra della scienza; […] Quando Galilei fece rotolare le sue sfere su di un piano inclinato, con un peso scelto da lui stesso, e Torricelli fece sopportare all’aria un peso, che egli stesso sapeva di già uguale a quello di una colonna d’acqua conosciuta, e, più tardi, Stahl trasformo i metalli in calce, e questa di nuovo in metallo, togliendovi o aggiungendo qualche cosa, fu una rivelazione luminosa per tutti gli investigatori della natura. Essi compresero che la ragione vede nelle cose solo ciò che lei stessa produce secondo il proprio disegno, e che, con i principi dei suoi giudizi secondo leggi immutabili, deve essa entrare innanzi e costringere la natura a rispondere alle sue domande; e non lasciarsi guidare da lei, per dir così, colle redini; perché altrimenti le nostre osservazioni, fatte a caso e senza un disegno prestabilito, non metterebbero capo a una legge necessaria, che pure la ragione cerca e di cui ha bisogno.E’ necessario dunque che la ragione si presenti alla natura avendo in una mano i principi, secondo i quali soltanto è possibile che fenomeni concordanti abbiano valore di legge […] La fisica pertanto è debitrice di così felice rivoluzione compiutasi nel suo metodo solo a questa idea, che la ragione deve (senza fantasticare intorno ad essa) cercare nella natura, conformemente a quello che essa stessa vi pone, ciò che deve apprenderne, e di cui nulla potrebbe da se stessa sapere. Così la fisica ha potuto per la prima volta esser posta sulla via sicura della scienza, laddove da tanti secoli essa non era stato altro che un semplice brancolamento.
Qui è proprio come per la prima idea di Copernico; il quale, vedendo che non poteva spiegare i movimenti celesti ammettendo che tutto l’esercito degli astri rotasse intorno allo spettatore, cercò se non potesse riuscir meglio facendo girare l’osservatore, e lasciando invece in riposo gli astri.
Kant, Critica della ragion pura, Prefazione
3. LE FACOLTA’ DELLA RAGIONE
La ragione dell’uomo si relaziona e struttura la realtà secondo una duplice fisionomia. Essa è infatti costituita dalle facoltà di intuire e di concettualizzare la realtà; la sensibilità, cioè la capacità dell’intuizione, è quella parte della ragione che permette ad essa di ricevere le impressioni dai dati esterni della realtà mentre l’intelletto, cioè la capacità della concettualizzazione, è quella parte della ragione che permette ad essa di organizzare in una unità le impressioni percepite attraverso la sensibilità. Dunque, sensibilità e intelletto, intuizioni e concetti, sono i parametri con cui la ragione, nel venire in contatto con la realtà e nell’agire sul suo materiale , struttura la stessa realtà come essa appare all’uomo.
La nostra conoscenza scaturisce da due fonti fondamentali dell’animo, la prima delle quali è nel ricevere le rappresentazioni (la recettività delle impressioni), la seconda è la facoltà di conoscere un oggetto mediante quelle rappresentazioni (la spontaneità dei concetti). Mediante la prima ci è dato un oggetto; mediante la seconda questo viene pensato in relazione a quella rappresentazione (come semplice determinazione dell’animo). Intuizioni e concetti costituiscono dunque gli elementi di ogni nostra conoscenza, cosicché né concetti senza intuizione ad essi in qualche maniera corrispondente, né intuizioni senza concetti potrebbero dare alcuna conoscenza. […] Se noi vogliamo denominare sensibilità la recettività dell’animo nostro nel ricevere rappresentazioni, in quanto viene in qualche maniera impressionato, l’intelletto è invece la facoltà di produrre da sé rappresentazioni, è cioè la spontaneità della conoscenza. La nostra natura porta con sé che l’intuizione non può mai essere che sensibile, cioè contiene soltanto la maniera in cui noi possiamo essere impressionati dagli oggetti. Invece l’intelletto è la facoltà di pensare l’oggetto dell’intuizione sensibile. Nessuna di queste proprietà è da preporre all’altra. Senza sensibilità non ci verrebbe dato nessun oggetto, e senza intelletto nessuno ne verrebbe pensato. I pensieri senza contenuto sono vuoti, le intuizioni senza concetti sono cieche. Perciò è altrettanto necessario dare un significato sensibile ai propri concetti (cioè unire loro l’oggetto dato nell’intuizione), quanto rendere a sé intelligibili le proprie intuizioni (cioè, sottoporle a concetti). Entrambe le facoltà o capacità non possono poi scambiare le loro funzioni. L’intelletto non può intuire nulla, e i sensi non possono pensare nulla. Soltanto dal fatto che essi si uniscono può scaturire conoscenza. Perciò non si può neppure fondere la loro partecipazione, anzi vi è fondata ragione di separare accuratamente l’una cosa dall’altra. Perciò distinguiamo nettamente la scienza delle regole della sensibilità in generale, cioè l’Estetica, dalla scienza delle regole dell’intelletto in generale, cioè la Logica.
Kant, Critica della ragion pura, Introduzione
4. LO SPAZIO E IL TEMPO
Kant analizza la facoltà della ragione di percepire i dati della realtà nell’Estetica trascendentale. L’uomo, sostiene Kant, entra in contatto con il materiale dell’esperienza grazie alle intuizioni pure dello spazio e del tempo. Questi sono concepiti, appunto, come intuizioni, perché costituiscono la facoltà di intuire e non di organizzare il materiale dell’esperienza; sono, poi, pure perché non provengono dall’esperienza ma sono strutture costitutive della mente umana. La ragione, cioè, mediante l’intuizione pura dello spazio percepisce il materiale dell’esperienza come una serie di dati l’uno accanto all’altro; mediante l’intuizione pura del tempo percepisce il materiale dell’esperienza come una serie di dati uno dopo l’altro. Lo spazio e il tempo sono dunque le strutture pure mediante cui la mente dell’uomo viene affetta da una molteplicità di impressioni che non è ancora organizzata nelle unità che costituiscono i vari oggetti; e, però, è solo grazie a questa facoltà dell’intuizione che la mente dell’uomo entra in rapporto con la realtà. Il processo conoscitivo dell’uomo, in virtù del quale si costituisce la stessa struttura della realtà come egli se la rappresenta, comincia, dunque, con l’opera di ricezione del molteplice dell’esperienza da parte delle intuizioni pure dello spazio e del tempo. Giova aggiungere come l’aggettivo puro, in Kant, è sinonimo di a priori e di trascendentale e indica sempre una facoltà che non deriva dall’esperienza ma ha poi sempre a che fare con essa in quanto permette la sua ricezione o la sua organizzazione.
Lo spazio non è un concetto empirico, che venga tratto da esperienze esterne. E difatti, perché certe sensazioni siano riferite a qualcosa fuori di me come pure perché io possa rappresentarmele l’una esterna all’altra e l’una accanto all’altra, e qui ndi non solo come differenti fra loro, ma anche poste in luoghi differenti, devo fondarmi già sulla rappresentazione dello spazio. Perciò la rappresentazione dello spazio non può essere desunta, mediante l’esperienza, dai rapporti di ciò che appare esternamente, bensì è questa esperienza esterna che è possibile solo mediante la suddetta rappresentazione.
Il tempo non è un concetto empirico che sia stato ricavato da qualche esperienza. La simultaneità o la successione, infatti, non arriverebbero nemmeno ad essere delle percezioni se a loro fondamento non ci fosse, a priori, la rappresentazione del tempo. Soltanto sotto questo presupposto ci si può rappresentare qualcosa che sia in un unico e medesimo tempo (simultaneamente) oppure in tempi diversi (successivamente).
Kant, Critica della ragion pura, Estetica trascendentale
5. LA SPECIFICITA’ DEL TEMPO
Lo spazio e il tempo sono le due forme a priori in virtù delle quali la mente percepisce il molteplice dell’esperienza; la mente, attraverso il senso esterno dello spazio, intuisce la molteplicità che si pone all’esterno dell’animo umano mentre essa, attraverso il senso interno del tempo, intuisce la molteplicità che scorre dentro lo stesso animo umano. Sennonché, precisa Kant, poiché tutte le intuizioni che entrano in relazione con la mente devono passare dall’interiorità dell’animo umano, il tempo si pone come la condizione a priori di tutte le intuizioni della molteplicità; come condizione a priori immediata della ricezioni dei dati interni e, pure, come condizioni a priori mediata della ricezione dei dati esterni. Vale a dire: tutte le intuizioni delle spazio, per giungere alla ricezione ultima della mente, devono essere temporalizzate, tradotte in termini temporali.
Il tempo è la condizione formale a priori di tutti i fenomeni in generale. Lo spazio, in quanto forma pura di ogni intuizione sterna, è circoscritto, come condizione a priori, ai soli fenomeni esterni. Di contro, poiché tutte le rappresentazioni appartengono in se stesse, quali determinazioni dell’animo, allo stato interno, e siccome questo stato interno ubbidisce alla condizione formale dell’intuizione interna, ossia il tempo, ne segue che quest’ultimo è la condizione a priori di ogni fenomeno in generale: condizione immediata dei fenomeni interni e, di conseguenza, condizione mediata di quelli esterni.
Kant, Critica della ragion pura, Estetica trascendentale
6. LE CATEGORIE
Lo spazio e il tempo sono le intuizioni pure in virtù delle quali l’animo umano è affetto dalla molteplicità delle rappresentazioni provenienti dall’esperienza; tale molteplicità, affinché l’uomo possa avere una conoscenza, deve quindi essere riunita in una sintesi grazie a cui è ridotta ai vari oggetti unitari. La facoltà che mette capo a tale sintesi è l’intelletto, vale a dire, l’insieme dei concetti puri che ordinano il molteplice dell’esperienza; questi concetti puri, che non derivano dall’esperienza ma piuttosto mettono capo alla organizzazione sintetica dell’esperienza, sono la quantità, la qualità, la relazione e la modalità; concetti puri delle intelletto o, anche, categorie. Lo spazio e il tempo, le intuizioni pure, percepiscono un certo dato molteplice dell’esperienza; l’intelletto, quindi, lo quantifica, lo qualifica, lo relaziona, lo modalizza. In poche parole: lo determina in un oggetto.
Spazio e tempo contengono un molteplice dell’intuizione pura a priori e appartengono a quelle condizioni della recettività del nostro animo per le quali soltanto esso può ricevere rappresentazioni di oggetti. Invece, la spontaneità del nostro pensiero fa si che questo molteplice sia in un certo modo penetrato, riunito e connesso per trarne infine una conoscenza. Questa operazione prende il nome di sintesi.
Kant, Critica della ragion pura, Analitica trascendentale
7. L’IO PENSO O APPERCEZIONE TRASCENDENTALE
L’intelletto, oltre a sintetizzare il molteplice dell’esperienza attraverso le categorie, è anche consapevole di questa sintesi; ne è consapevole come sintesi che gli appartiene e in riferimento alla quale il molteplice dell’esperienza si struttura in maniera unitaria. Riprendendo una terminologia leibniziana, Kant chiama appercezione trascendentale questa consapevolezza dell’unificazione del molteplice. Lo spazio e il tempo percepiscono il molteplice dell’intuizione, le categorie lo unificano e l’appercezione è la consapevolezza di questa unificazione in riferimento al soggetto della conoscenza. Si ritorna così alla questione della “rivoluzione copernicana”: il principio in virtù del quale i dati molteplici della realtà si costituiscono in oggetti non è un principio che sia in questi oggetti ma è la ragione umana che fa sì che sulla propria attività si costituiscano le strutture razionali e unitarie della stessa realtà oggettuale.
E’ l’unità sintetica il punto più alto, al quale si deve legare tutto l’uso dell’intelletto, tutta la logica stessa […] l’unificazione non è dunque negli oggetti, e non può essere considerata come qualcosa di attinto da essi per via di percezione […] è piuttosto una funzione dell’intelletto, il quale non è altro che la facoltà di unificare a priori e di sottoporre all’unità dell’appercezione il molteplice delle rappresentazioni date; ed è questo il principio supremo di tutta la conoscenza umana.
Kant, Critica della ragion pura, Analitica trascendentale
8. FENOMENO E NOUMENO
La rivoluzione copernicana di Kant implica il fatto che gli oggetti non possono essere conosciuti se non in virtù della stessa rappresentazione del soggetto: non è possibile conoscere quali essi siano in se stessi ma solo quali essi appaiono al soggetto che li struttura e se li rappresenta in virtù delle sue proprie forme dello spazio del tempo e delle categorie. Nasce, in questo senso, la distinzione kantiana fra noumeno e fenomeno: il noumeno indica l’oggetto come è in se stesso mentre il fenomeno indica l’oggetto come esso appare al soggetto in virtù della sua azione conoscitiva che si esplica attraverso le forme a priori dell’intuizione e del concetto.
Ciò che non è mai possibile riscontare nell’oggetto in se stesso ma che tuttavia sempre si riscontra nei suoi rapporti con il soggetto, e che risulta inseparabile dalla rappresentazione di quest’ultimo, è il fenomeno
Esistono certamente enti intelligibili in corrispondenza degli enti fenomenici e sono certo ammissibili enti intelligibili con cui la nostra facoltà intuitiva non ha alcuna relazione; tuttavia i nostri concetti dell’intelletto, nella loro qualità di semplici forme del pensiero in vista della nostra intuizione sensibile, non sono affatto in grado di cogliere tali oggetti intelligibili. Pertanto ciò a cui abbiamo dato il nome di noumeno deve essere assunto come tale solo in senso negativo.
Noi abbiamo, cioè, un intelletto capace di estendersi problematicamente oltre la sfera della sensibilità, ma non siamo in possesso do un’intuizione mediante la quale possano venirci dati oggetti oltrepassanti il campo della sensibilità in modo tale che l’intelletto possa essere usato al di là della sensibilità in modo assertorio. Quindi il concetto di noumeno non è altro che un concetto limite, per circoscrivere le pretese della sensibilità ed è quindi soltanto di uso negativo. Esso però non è introdotto arbitrariamente ma si connette alla limitazione della sensibilità, senza tuttavia essere in grado di porre alcunché di positivo al di fuori del dominio dell’esperienza.
Kant, Critica della ragion pura, Dialettica trascendentale
9. LE IDEE DELLA RAGIONE
Nonostante l’intelletto possa mettere capo a delle conoscenze solo nel suo riferimento alla sensibilità, tuttavia, esso ha la pretesa di spingersi oltre di essa e attingere a delle conoscenze che si pongono oltre l’esperienza. In questa sua azione esso prende il nome di ragione in senso stretto e mette capo a delle conoscenze che sono indicate da Kant come idee trascendentali. Quando l’intelletto, prescindendo dal riferimento al tempo, vuole produrre la conoscenza assoluta di tutti i fenomeni dell’interiorità umana, esso dà origine all’idea trascendentale dell’anima; quando esso, prescindendo dal riferimento allo spazio, vuole produrre la conoscenza assoluta di tutti i fenomeni di ciò che sta di fronte all’uomo, dà origine all’idea trascendentale del mondo; infine, quando, prescindendo dallo spazio e dal tempo, vuole produrre la conoscenza assoluta dell’intero sistema dei fenomeni, dà origine all’idea trascendentale di Dio. L’anima, il mondo e Dio, però, proprio perché sono conoscenze che non derivano dall’opera dell’intelletto sulla sensibilità, sono nozioni del tutto infondate su cui si innalzano altrettante presunte scienze: la psicologia razionale, la cosmologia razionale e la teologia razionale.
Le idee trascendentali si possono ridurre in tre gruppi: il primo contiene l’unità assoluta del soggetto pensante; la seconda contiene l’unità assoluta della serie delle condizioni del fenomeno; la terza contiene l’unità assoluta della condizione di tutti gli oggetti del pensiero in generale.
Il soggetto pensante costituisce l’oggetto della psicologia; l’insieme di tutti i fenomeni costituisce l’oggetto della cosmologia; mentre la cosa che contiene la condizione suprema della possibilità di tutto ciò che può essere pensato costituisce l’oggetto della teologia. In tal modo la ragion pura ci offre l’idea per una dottrina trascendentale dell’anima, per una scienza trascendentale del mondo e, infine, per una conoscenza trascendentale di Dio.
Ci si esprimerebbe bene lì dove si dicesse che non ci è possibile avere nessuna conoscenza di un oggetto corrispondente a un’idea, benché sia possibile averne un concetto problematico.
L’esito di tutti i tentativi dialettici della ragion pura conferma tutto ciò che fu oggetto di dimostrazione dell’Analitica trascendentale, cioè che tutti i ragionamenti che pretendono di condurci oltre il campo dell’esperienza possibile sono ingannevoli e infondati; e però ci impartisce anche un insegnamento particolare, cioè che l’umana ragione ha in sé una spinta naturale a varcare i limiti dell’esperienza e che le idee trascendentali sono per essa non meno naturali di quanto per l’intelletto non siano le categorie. Con la differenza, però, che le categorie conducono alla verità, ossia all’accordo dei nostri concetti con l’oggetto, mentre le idee on producono che una mera parvenza, certo irresistibile, il cui inganno può venire a stento rimosso con la critica più penetrante.
Kant, Critica della ragion pura, Dialettica trascendentale
10. LA DIMENSIONE REGOLATIVA DELLE IDEE
Kant distingue fra una dimensione costitutiva e una dimensione regolativa delle idee: la prima è la presunzione che le idee possano costituire oggetti reali di conoscenza mentre la seconda è la tendenza naturale dell’uomo a regolare il suo itinerario conoscitivo verso la completezza del sapere e a dare ad esso una dimensione dinamica.
Io asserisco dunque che le idee trascendentali sono inadatte a qualsiasi uso costitutivo per cui debbano fornire concetti di oggetti; e, che se sono intese in questo modo, si risolvono in semplici concetti contraddittori. Esse hanno però un uso regolativo vantaggioso e imprescindibile, consistente nel dirigere l’intelletto a un certo scopo in vista del quale le linee direttive delle sue regole convergono in un punto che – pur essendo niente altro che un’idea (focus immaginarius), cioè un punto da cui non possono realmente provenire i concetti dell’intelletto, serve tuttavia a conferire a questi concetti la più alta unità ed estensione possibile.
Kant, Critica della ragion pura, Dialettica trascendentale