Introduzione alla filosofia nel Novecento
Introduzione alla filosofia nel Novecento
Già Schopenhauer, Kierkegaard e Nietzsche stigmatizzarono, oltre alla cifra specifica della filosofia hegeliana, la pretesa del sapere fisico-matematico a costituirsi come il vero sapere e il modello epistemologico per qualsiasi disciplina che avesse voluto elevarsi a scienza. Quindi, con l’inizio del Novecento, il paradigma trionfale della scienza galileiano-newtoniana entrò in crisi per opera degli stessi progressi delle scienze fisico-matematiche e la filosofia, pur nella forte eterogeneità dei suoi orientamenti, si annunciò al nuovo secolo come critica alla pretesa totalizzante della matematizzazione del sapere e alla ingenuità delle scienze naturali nell’assumere i loro oggetti d’indagine senza una riflessione critica sulla stessa costituzione originaria del sapere in generale. In questo senso è illuminante quanto scrive Carlo Sini in merito alla sviluppo della fenomenologia di Husserl a cui può di certo essere attribuito il ruolo di aver aperto il nuovo secolo nel segno della riformulazione del problema critico della conoscenza e della rinascita della filosofia come scienza originaria. Perciò, alle parole di Sini, facciamo seguire un passo dello stesso Husserl (1859 – 1938).
Il clima culturale all’interno del quale la fenomenologia nacque e si affermò è quello della cosiddetta reazione al positivismo di cui la fenomenologia rispecchia alcuni tratti […] La reazione al positivismo, sviluppatasi fra Ottocento e Novecento, ebbe, come è noto, una matrice interna alle scienze stesse, i cui progressi misero variamente in crisi i fondamenti classici del sapere scientifico. Emblematica è, a riguardo, la rivoluzione della fisica. Agli inizi del Novecento, Plank scoprì che l’energia delle radiazioni si trova distribuita in quanti discontinui. Di qui la nascita della teoria quantistica (che metteva in crisi il principio di continuità enunciato dalla fisica classica) e, successivamente, la formulazione, da parte di Heisenberg, del principio di indeterminazione (in base al quale veniva meno il determinismo meccanicistico della fisica newtoniana). I fenomeni atomici studiati dalla fisica non sono indipendenti dall’osservatore umano, ma anzi interagiscono con esso; la loro connessione causale non è univoca e non può stabilirsi in senso assoluto, sicché le leggi scientifiche non rispecchiano elaborate dalla fisica non rispecchiano obiettivamente il mondo ma rivestono soltanto carattere statistico e probabilistico. Per altro verso, Einstein pubblica la cosiddetta formulazione ristretta della teoria della relatività la quale abolisce il principio classico dell’indipendenza reciproca di spazio e tempo, non più considerati come realtà oggettive di tipo euclideo. I fenomeni osservati, in riferimento a velocità molto alte e a energie di enorme potenziale, non sono indipendenti dalla posizione dell’osservatore, ma anzi sono relativi ad esso. Così, sia nel microcosmo della quantistica sia nel macrocosmo dell’astrofisica, la scienza novecentesca apriva una via estremamente profonda di scoperte, risultati e innovazioni, ma anche estremamente problematica relativamente al fondamento e al significato ultimo dei suoi concetti, cioè al senso razionale e filosofico delle sue teorie. Analoga rivoluzione accadeva nelle matematiche che già nell’Ottocento avevano abbandonato con Riemann l’univocità del modello geometrico euclideo. Proprio le ricerche della scuola di Weierstrass, che proseguì nell’opera di Dedekin e di Cantor, posero il problema dei fondamenti ultimi della matematica, chiedendosi se era possibile ricondurre tutti i concetti matematici, divenuti col tempo estremamente complessi, ai numeri naturali e all’aritmetica. Questa ricerca e le aporie che ne derivarono aprirono la strada al tentativo di rifondare e riformulare l’intera matematica, e in particolare l’aritmetica, sulla logica. Bastano questi cenni per mostrare come il fermento innovativo delle scienze fosse più che sufficiente a contestare l’ingenuo ottimismo del positivismo ottocentesco che affidava alla metodologia sperimentale della ricerca scientifica e ai suoi progressi la soluzione di tutti i problemi dell’umanità.
Carlo Sini, Introduzione in E. Husserl, L’idea della fenomelogia, 1907
In lezioni precedenti ho distinto fra scienza di tipo naturale e scienza filosofica: la prima sgorga dall’atteggiamento naturale dello spirito, la seconda dall’atteggiamento filosofico. L’atteggiamento naturale dello spirito è ancora ignaro di ogni preoccupazione di critica della conoscenza. Nell’atteggiamento naturale dello spirito noi siamo rivolti, sia nell’intuire sia nel pensare, verso le cose che ci sono date di volta in volta, e date in modo del tutto ovvio, anche se in diversa guisa e diversi modi di essere, a seconda della fonte conoscitiva e del piano conoscitivo in questione. […] A questo mondo si riferiscono i nostri giudizi. Sulle cose, sulle loro relazioni e i loro mutamenti, sulla dipendenza funzionale di tali mutamenti e sulle leggi del mutamento, noi costruiamo enunciati, in parte individuali e in parte universali. Noi esprimiamo ciò che la diretta esperienza ci fornisce. Seguendo le motivazioni dell’esperienza, concludiamo da ciò che abbiamo direttamente esperito al non esperito; generalizziamo, e riportiamo poi di nuovo la conoscenza universale ai casi singoli, oppure, come nel pensare analitico, deduciamo da conoscenze universali nuove universalità. […] Così progredisce la conoscenza naturale. Si impadronisce, in un giro sempre più largo, della realtà che per essa esiste ovviamente e ovviamente è data in partenza, e costituisce qualcosa da indagare ulteriormente solo quanto ad ampiezza e contenuto, agli elementi ai rapporti e alle leggi. Così si formano e crescono le scienze di tipo naturale: le scienze della natura come scienze della natura fisica e psichica, le scienze dello spirito, e, dall’altro lato, le scienze matematiche, le scienze dei numeri, delle molteplicità, dei rapporti e così via. Ma contrapponiamo ora, all’atteggiamento naturale e alle motivazioni naturali di pensiero, atteggiamento e motivazioni filosofici. Con lo svegliarsi della riflessione sul rapporto fra conoscenze e oggetto, si fanno avanti difficoltà straordinariamente profonde. La conoscenza, la più ovvia di tutte le cose per il pensiero naturale, ci si presenta ad un tratto come un mistero […] In tutte le sue forme la conoscenza è un vissuto psichico: conoscenza del soggetto conoscente. Di contro a essa stanno gli oggetti conosciuti. Ma come può allora la conoscenza divenire certa del suo accordo con gli oggetti conosciuti? La datità degli oggetti di conoscenza nella conoscenza, affatto ovvia nel pensiero naturale, diviene un enigma.
E. Husserl, L’idea della fenomenologia, 1907