Introduzione a Leibniz
Videolezione su Leibniz e testi del filosofo sui concetti centrali attraverso cui si snoda la videolezione
Fisica e metafisica, le monadi, appetizione e percezione, appercezione e riflessione, Dio
1. DALLA FISICA ALLA METAFISICA
Gottfried Leibniz nacque a Lipsia, in Sassonia, nel 1646. Il padre insegnava filosofia morale all’università di Lipsia e la madre apparteneva a una famiglia di professori. Fin dalla giovinezza, quindi, il giovane Leibniz poté maturare un forte senso della ricerca. La logica e la matematica furono le discipline che più lo attiravano fin dalle prime letture nella biblioteca paterna in cui passava molte ore. Già a diciotto anni conseguì il titolo di magister in filosofia e giurisprudenza all’università di Lipsia. Nel 1666 entrò a servizio per il Principe Elettore del Palatinato e, nel 1672, ebbe l’occasione di recarsi a Parigi dove conobbe i maggiori dotti del tempo. Soprattutto, entrò in contatto con la filosofia di Cartesio. Nel 1675 lasciò la capitale francese e, prima di rientrare in Germania, vistò Londra, Amsterdam e l’Aja. Fece vista a Spinoza con cui si intrattenne in lunghe conversazioni. Nel 1676 entrò a servizi del duca di Hannover come bibliotecario e consigliere. La figura di Leibniz si distingue così, fra quella degli altri filosofi, per la poliedricità degli interessi e la sensibilità alla vita politica. L’attività diplomatica, la fondazione dell’Accademia di Berlino, le ricerche matematiche e le meditazioni filosofiche costituirono, infatti, i diversi campi in cui il filosofo impegnò il suo ingegno. Naturalmente, conseguentemente alla sua attività, Leibniz lasciò una ampia mole di scritti. Per quello che riguarda la filosofia, i testi in cui egli espone il suo pensiero possono essere indicati nel Discorso di metafisica del 1686 e nella Monadologia del 1714. Dopo due anni dalla composizione di quest’ultimo scritto, nel 1716, Leibniz morì. La filosofia di Leibniz inizia da una critica alla meccanica cartesiana. Se per il filosofo francese la quantità di moto di un corpo rimane costante (f = mv), l’idea di Leibniz fu quella per cui la forza viva è capace di mutare durante il moto ( f = ½ mv²). Da questa idea di ordine fisico, Leibniz trasse, dunque, le conseguenze sul piano filosofico: il movimento è una conseguenza della forza intrinseca a un corpo e non di un suo urto con un latro corpo; nessun corpo è, dunque, puramente passivo ma si configura piuttosto come un centrò di attività continua. In questo senso Leibniz elabora il concetto di monade, degli atomi di ordine spirituale che costituiscono gli elementi ultimi della realtà.
1. La sostanza è un essere capace di azione. Essa è semplice o composta. La sostanza semplice è quella che non ha parti. La composta è l’unione delle sostanze semplici o delle monadi. Monás è un termine greco, che significa unità, o ciò che è uno. I composti o i corpi sono moltitudini: le sostanze semplici, le vite, le anime, gli spiriti sono unità. Ed è necessario che ovunque vi siano sostanze semplici, perché senza il semplice non vi sarebbe nulla di composto. Di conseguenza tutta la natura è piena di vita.
2. Le monadi, non avendo parti, non possono essere formate né disfatte: esse non possono cominciare né finire secondo natura, perché durano quanto l’Universo che potrà essere modificato ma non distrutto. Esse non possono avere figure, altrimenti avrebbero parti: una monade, perciò, non può in se stessa e nel momento essere distinta da un’altra che per qualità e azioni interne, le quali non possono essere altro che le sue percezioni (cioè le rappresentazioni, nel semplice, del composto o di ciò che è esterno); e le sue appetizioni (cioè le tendenze da una percezione all’altra), che costituiscono i princípi del cambiamento.
G. W. Leibniz, Principi della Natura e della Grazia fondati sulla ragione, 1-2
2. LE MONADI, L’APPETIZIONE E LA PERCEZIONE
Gli elementi semplici della realtà, secondo Leibniz, sono dunque elementi la cui specificità è quella di essere forze attive; lì dove per la fisica esse si risolvono nel concetto dell’energia cinetica, per la filosofia il loro principio originario interiore, la loro stessa essenza, è l’appetizione. L’appetizione è appunto questa nota costitutiva del mutamento che si configura come continuo e graduale passaggio da una percezione ad un’altra percezione, da una rappresentazione all’altra di tutto ciò che circonda la monade.
10. […] Ritengo che ogni essere creato sia soggetto a cambiamento e di conseguenza anche la monade creata sia soggetta a cambiamento e che questo cambiamento sia in ognuna continuo
11. […] i cambiamenti naturali delle monadi derivano da un principio interno
15. L’azione del principio interno che opera il cambiamento da una percezione a un’altra può essere chiamato appetizione; è vero che l’appetito non potrebbe mai del tutto giungere alla completezza della percezione cui tende ma ne ottiene sempre qualche cosa e giunge a percezioni nuove.
G. W. Leibniz, La Monadologia, 10, 11, 15
3. DALLA PERCEZIONE ALLA APPERCEZIONE
Ogni monade, secondo Leibniz, è appetizione e quindi continuo fluire di rappresentazioni; sennonché alcune monadi non hanno la coscienza di questo loro mutamento e alcune, invece, hanno tale la consapevolezza. Alcune monadi sono semplice appetizione e percezione mentre alcune aggiungono, all’appetizione e alla percezione, anche l’appercezione, vale a dire, la consapevolezza del loro costituzione.
Lo stato passeggero, che implica o rappresenta una molteplicità nell’unità o sostanza semplice, non è altro che ciò che è chiamato percezione, e che deve essere distinta dall’appercezione o coscienza […]
4. APPERCEZIONE E RIFLESSIONE
Negli animali e nella maggior parte della vita degli uomini la conoscenza accompagnata dalla coscienza non si identifica con la ragione ma con la memoria; la ragione subentra solo quando dalla appercezione si passa alla ragione e alla riflessione ovvero all’astrazione di principi universali quali il principio di contraddizione e di ragione sufficiente; vale a dire ai principi che costituiscono le stesse regole del pensiero.
30. Così, dalla conoscenza delle verità necessarie e dalle astrazioni di essa, noi siamo elevati agli atti di riflessione, che ci fanno pensare a ciò che si chiama Io, e alla considerazione che questo o quello è in Noi: è così che, pensando a noi, pensiamo all’Essere, alla sostanza, al semplice, e al composto, all’immateriale e a Dio stesso, comprendendo che ciò che in noi è limitato in Lui è senza limiti. Questi atti di riflessione forniscono gli oggetti principali dei nostri ragionamenti.
31. I nostri ragionamenti sono fondati su due grandi principi: quello di contraddizione, in virtù del quale noi giudichiamo falso ciò che la contiene in sé e vero ciò che è opposto al falso […]
32. e quello di ragion sufficiente in virtù del quale non consideriamo vero e esistente alcun fatto, vera nessuna enunciazione, se non ve n’è una ragione sufficiente in virtù della quale esso è così e non diversamente; sebbene queste ragioni molto spesso non possano essere conosciute.
5. DIO E L’ARMONIA PRESTABILITA
Ogni attività riflessiva, nell’uomo, è presente in modo finito poiché egli non è che la creazione finita di una monade superiore che possiede ogni attributo in maniera infinita, Dio. Tale monade superiore non è solo il principio della generazione dell’universo costituito dalle monadi ma anche il principio dell’ordine che vige in questo universo. L’intero sistema delle relazioni fra le monadi fa capo a una armonia prestabilita che è il frutto dell’opera di Dio.
47. Dio solo è l’unità primitiva, cioè la sostanza semplice originaria: tutte le monadi create o derivate sono produzioni di Esso e nascono, per così dire, per fulgurazioni continue della divinità di momento in momento, limitate dalla passività della creatura, la cui essenza è di essere limitata.
48. In Dio è la potenza, la quale è fonte di tutto, la conoscenza, che contiene la serie delle idee, e infine la volontà, la quale opera i cambiamenti o produzioni secondo il principio del meglio. ciò corrisponde a quello che nelle monadi create è il soggetto o sostanza, la facoltà percettiva e la facoltà appetitiva. Ma in Dio questi attributi sono assolutamente infiniti, cioè perfetti, mentre nelle monadi create essi non sono che imitazioni nella misura che hanno perfezioni.
49. Si dice che la creatura agisce al suo esterno nella misura che ha perfezione, e patisce da un’altra nella misura che è imperfetta. perciò si attribuisce azione alla monade in quanto essa ha percezioni distinte e la passività in quanto essa ne ha di confuse.
51. Tuttavia nelle sostanze semplici l’influenza di una monade su un altra non è che ideale e non può essere effettuale se non per l’intervento di Dio, in quanto, nelle idee di Dio, una monade postula con ragione che Dio, regolando le altre monadi fin dal principio delle cose, abbia riguardo a esse. Infatti, poiché una monade creata non può avere influenza fisica all’interno di un’altra, non può essere che per la mediazione di Dio che una può dipendere dall’altra.
56. Questo legame, cioè questo adattamento di tutte le cose create e di ognuna a tutte le altre, fa sì che ogni sostanza semplice abbia rapporti che esprimono tutte le altre e, di conseguenza, sia un perfetto specchio vivente dell’universo