Calcio e letteratura civile
Nella mia produzione poetica, che si dispiega ormai lungo il corso di un trentennio e che ha dato luogo a molte pubblicazioni di raccolte, i nuclei tematici rispetto a cui si sono dispiegati i versi sono stati anche essi molteplici: dal canto del rapporto con la figura femminile, a quello del rapporto con gli studenti, con gli affetti familiari e le amicizie, fino a quello del rapporto con la musica; vi è stato poi un episodio poetico in cui la penna ha incontrato nel verso il mondo del calcio. Si tratta della scrittura di una poesia su Francesco Totti che ha preso il titolo de Il Capitano.
E’ un binomio, quello fra poesia e sport che spesso viene sottovalutato quando non addirittura, in certe prese di posizione di certa supponente intellighenzia, schernito. Forse, meditavo, per il retaggio platonico-cristiano, che è ancora presente sotto le forme di una inconsapevole secolarizzazione, in cui la fisicità viene screditata quando non propriamente esorcizzata.
Qualora si risalga invece alla primigenia mentalità greca, si può notare che sia nelle arti visive ma anche nella stessa poesia, il rapporto dell’ispirazione e dell’intelletto poetico con lo sport è molto vivo e ha messo capo a pagine fra le più alte della letteratura ellenica; basti pensare a tutta la produzione di Pindaro che ha dedicato ai giochi panellenici e ai suoi campioni una vasta produzione: dalle Olimpiche alle Nemee, dalle Pitiche alle Istmiche.
Quindi, arrivando più in avanti con il tempo, grandi penne della letteratura italiana hanno dato origine a considerazioni e alla produzione poetica proprio in ordine al calcio. Vi è una bella poesia di Leopardi che scolpisce i tratti e celebra l’impresa di un giocatore di calcio suo coetano, il treiese Carlo Didimi; ultimata nel 1821, la poesia è una canzone articolata in cinque strofe di tredici versi ognuna, sul modello modello delle odi di Orazio. Interessante è l’intreccio, che riprende certamente la cifra delle poesie di Pindaro, fra la celebrazione del campione e il lustro che egli con la sua impresa dà alla propria città. In tale senso questi i versi leopardiani: «Te l’echeggiante arena e il circo, e te fremendo appella ai fatti illustri il popolar favore; te rigoglioso dell’età novella oggi la patria cara gli antichi esempi a rinnovar prepara».
Più avanti con il tempo è nota la passione di Umberto Saba per il calcio; una passione che diventa vero e proprio tifo con la frequentazione puntuale del poeta dello stadio e la poesia Goal che celebra le vittorie della sua Triestina. Possiamo leggerla per intero questa bella e intensa poesia «Il portiere caduto alla difesa / ultima vana contro terra cela /la faccia a non vedere l’amara luce. / Il compagno in ginocchio che l’induce / con parole e con mano, a rilevarsi, / scopre pieni di lacrime i suoi occhi. / La folla – unita ebrezza – par trabocchi / nel campo. Intorno al vincitore stanno, / al suo collo si gettano i fratelli. / Pochi momenti come questo belli, /a quanti l’odio consuma e l’amore, / è dato, sotto il cielo, di vedere».
Un altro scrittore che non ha certo sacrificato la sua libertà intellettuale al disdegno di questo gioco del calcio e alla celebrazione delle sue figure, ravvisando proprio nel gioco dei campioni la stessa poesia, è stato Pier Paolo Pasolini. Sono celebri le sue dissertazioni estetiche su campioni i cui nomi suonano già a noi come noti. Scrive Pasolini, in quella che è una vera e propria estetica del calcio: «Il football è un sistema di segni, cioè un linguaggio. Esso ha tutte le caratteristiche fondamentali del linguaggio per eccellenza, quello che noi ci poniamo subito come termine di confronto, ossia il linguaggio scritto-parlato. […] Ci può essere un calcio come linguaggio fondamentalmente prosastico e un calcio come linguaggio fondamentalmente poetico. […] Per spiegarmi, darò – anticipando le conclusioni – alcuni esempi: Bulgarelli gioca un calcio in prosa: egli è un “prosatore realista”; Riva gioca un calcio in poesia: egli è un “poeta realista”. Corso gioca un calcio in poesia, ma non è un “poeta realista”: è un poeta un po’ maudit, extravagante. Rivera gioca un calcio in prosa: ma la sua è una prosa poetica, da “elzeviro”. Anche Mazzola è un elzevirista, che potrebbe scrivere sul “Corriere della Sera”: ma è più poeta di Rivera; ogni tanto egli interrompe la prosa, e inventa lì per lì due versi folgoranti». Pasolini è tanto impregnato di questa passione per il calcio e attento alla sua narrazione che, in un intervista ad Enzo Biagi che gli chiese cosa gli sarebbe piaciuto diventare se non avesse fatto lo scrittore, egli rispose: «Un bravo calciatore. Dopo la letteratura e l’eros, per me il football è uno dei grandi piaceri».
Dunque, da Pindaro a Leopardi, da Saba a Pasolini, i grandi scrittori nonché i veri eroi della libertà intellettuale hanno espresso candidamente la loro passione per questa stessa poesia che è il calcio. Purtroppo oggi forse anche essa in declino nella prosaicità economicistica che corrode ogni aspetto del mondo contemporaneo.
Sennonché se vi è stata una figura, forse l’ultima, che ha incarnato tali valori di questi eroi della poesia calcistica lì dove essa diviene anche spirito di una comunità cittadina, tale figura è stata quella di Francesco Totti. Su di lui scrissi, diversi anni fa, questa poesia, Il Capitano, che ora è stata interpretata in video dalla fine dicitura di Alessandro Quasimodo, attore di teatro e figlio del Premio Nobel per la Letteratura Salvatore Quasimodo.
Per ascoltarla o riascoltarla basta un click su questo link Giuseppe Cappello, Il Capitano, Aletti Editore