Gli sdraiati e le metafisiche dell’avvenire
Un libro e un film che, sin dal titolo, prospettano una certa concessione alla vulgata generazionale e non originale (già Orazio la stigmatizza come laudatio temporis acti) della lamentela del mondo di chi è stato rispetto a quello di chi è e sarà. Concessione a una vulgata inveterata che mostra una certa disconoscenza e disinvoltura rispetto al mondo della gioventù contemporanea.
Io, nella mia quotidianità e storicità quindicennale di insegnante, con i giovani di oggi ci vivo. Tutti i giorni. Li conosco abbastanza bene, credo, per non bollarli con participi sostantivati liquidatori generalizzanti né per indulgere di contro a retoriche giovanilistiche.
E’ una generazione, quella dei giovani contemporanei, che lontana da ogni dismissione rispetto all’esistenza, si dimena, lotta, sogna; dalla grande impresa della vita fino alla realizzazione di una esistenza ordinaria; che per loro è divenuta il pari della grande impresa. Ho visto divenire madri e padri ragazze e ragazzi, oggi trentenni, che ho conosciuto quando avevano quindici anni. Li vedo sognare con una concretezza laboriosa sconosciuta alla maggior parte di coloro che, nella generazione che doveva cambiare il mondo, si riempivano la bocca con grandi parole banditrici di palingenesi epocali. E ora, acquisite rendite di posizione più o meno vantaggiose e blindate, giudica questi ragazzi con le più ataviche fra le parole di chi pensa che dopo di lui … il nulla; forse perché in fondo sa di non aver seminato o costruito nulla. Innanzitutto per questi ragazzi.
Ma a loro non importa: non sono sdraiati e soprattutto, a dispetto di quanto la generazione dei sapienti gli ha consegnato, non si lasciano sdraiare. In fondo, credo, che i libri e i film dei participi sostantivati generalizzanti abbiano come interlocutori piuttosto un pubblico generazionale coevo e corresponsabile agli autori del libro e del film. Non credo che il film interesserà molto a Martina, che a diciotto anni ha preso ed è andata in Inghilterra a studiare e ora fa la manager a Sky; convive a Londra con Amadi, un ingegnere di origini africane, nella più bella delle favole cosmopolite; non interesserà a Chiara, che ha due figli, una scuola di equitazione e soprattutto una irriducibile coscienza civica; forse qualcosa, nel segno di una irriducibile disciplina socratica, interesserà a Christian, che macina libri su libri tra filosofia e letteratura pur dovendo rispondere a un mondo del lavoro che non è stato in grado di valorizzare la sua eccellenza intellettuale; ma non interesserà a Davide che, con il suo computer e la sua ostetricia del suono, ha capito che qui avrebbe ricevuto solo participi sostantivati e se ne è andato in Cina dove ora insegna inglese, si è sposato e continua della sua arte musicale; non interesserà a Gian Marco, chitarrista classico di caratura mondiale, chiamato da una parte all’altra del globo dai più importanti enti culturali internazionali; a Giorgia, con il lavoro e il sogno nelle sue corde vocali, che non molla fra un’esibizione e l’altra nelle televisioni nazionali e i locali del blues e del jazz romano; a Noemi e alla sua già inconfondibile fotografia; a Gabriele, fresco del suo primo romanzo, in cui lui, sì, dall’interno, ci parla dei disagi esistenziali dei giovani della Roma bene ma anche del riscatto dagli sballi e dall’anoressia nella lettura e nella scrittura letteraria; a Vincenzo, nell’inquietudine rock del musicista, che si esibisce all’Auditorium per strappare un podio con il suo pezzo fra lo stornello e il Rap; a Lorenzo, un trenta e lode dietro l’altro a medicina, nella sua dirompente mitezza; a Guglielmo, mirabile mente tra la fisica e la filosofia; unita al più generoso dei cuori verso il più debole dei suoi compagni. E probabilmente non interesserà e non inter-esserà con tutti gli altri (credo di essere giunto ad avere, dal 2002 ad oggi, intorno ai mille studenti) che non ho nominato ma che sanno bene di avere una piena cittadinanza nel mio cuore e nella mia stima per le loro imprese più o meno ordinarie. Tutte straordinarie.
Ecco, tutti questi ragazzi, questi eroici Mille, con i loro innumerevoli coetanei, nonostante il participio sostantivato generalizzante di un libro e di un film non gli renda giustizia e piuttosto dovrebbe essere tramutato in quello di traditi, vituperati, dimenticati e ricordati solo per essere monetizzati (soprattutto nel caso del film), tutti questi ragazzi vanno e andranno avanti senza preoccuparsi troppo e interagire con l’appellativo che gli è stato riservato.
Ma non ho dubbi che più di un collega, aggiungendo al danno la beffa, organizzerà una spedizione scolastica di massa su invito di più di un cinema che arranca con gli incassi e allora ci sarà anche chi, fra questa generazione, avendo preso specificamente a cuore qualche lezione di storia contemporanea, capovolgerà il punto di vista. Vedendo nei narranti piuttosto che nei narrati di questa impresa culturale i veri sdraiati; incapaci di vedere le albe e i tramonti laici dell’animo umano e passati piuttosto dalle visioni della metafisica del Sole a quella del Buio dell’Avvenire.
Amicus Serra sed magis amica veritas
Cordialmente,
Giuseppe Cappello
RISPOSTA DI MICHELE SERRA
Gentile Cappello,
come ogni insegnante lei sa bene i libri vanno letti. A dispetto del titolo, Gli sdraiati è un libro sui padri. In specie su UN padre, perché non sono un sociologo ma uno scrittore, e dunque di fiction si tratta. Una specie di romanzo breve.