Il castello di carta della tv commerciale
(pubblicato su il Fatto Quotidiano del 4/06/2019)
Marco Carta, il vincitore di Sanremo, di Amici e di Tale quale show è stato prima arrestato e ora è indagato per il furto di capi di abbigliamento per un valore di 1200 euro alla Rinascente di Milano. E’ un episodio che ci dà l’occasione per riflettere sullo spirito di lacerazione del costume ma poi soprattutto sull’infelicità che ormai ha totalmente sostituito in Italia quel clima di fiducia negli altri e nel futuro che fino agli anni Ottanta e i primissimi anni Novanta si respirava nel Paese. Ognuno, credo, senta sulla sua pelle il cambiamento che si è generato in Italia; ognuno, tranne, purtroppo, le giovani generazioni. Quei ragazzi e quelle ragazze che il cambiamento non lo possono sentire perché nati fra le lacerazioni del costume e l’infelicità. Quei ragazzi e quelle ragazze che, nelle nostre scuole, vediamo sempre più fragili perché sempre più vittime di una ostioporosi dello spirito la cui origine va a mio avviso rintracciata in quel fenomeno culturale che è stato in Italia l’avvento della televisione commerciale. Marco Carta ne è il plastico testimone e rappresentante. Ha attraversato, come abbiamo detto in inizio, tutti i programmi della televisione commerciale; li ha attraversati e li ha vinti. E lì, al traguardo, non ha trovato evidentemente nulla. O, meglio, vi ha trovato il nulla. E’ il campione assoluto di una fenomenologia dell’infelicità che nasce da quel veleno che appunto la televisione commerciale ha inoculato giorno dopo giorno nel sangue del nostro Paese. Il veleno, lo chiamerei, delle nuove SS ovvero dei soldi e del sesso; il sesso dei soldi. Il sesso dei soldi in un doppio senso: di quel sesso senza senso che si può vendere e comprare ormai dappertutto e a ogni età ma soprattutto della sessualità che un intero popolo ha sviluppato per il denaro. Denaro che, poiché è strutturalmente ricerca privata, ha risolto in maniera totalizzante le vite di tutti nella privatezza e dunque, dacché l’uomo non può sfuggire alla sua essenza comunitaria, nell’infelicità. L’infelicità di un autoerotismo economicistico che dovrebbe tenere tutti lontani oggi dal detestare quel giovane; promemoria, invece, per un intero popolo di genitori (fra cui anche quelli dei due Mattei d’Italia) che si è messo alle file dei cancelli di innumerevoli provini televisivi con la speranza di vedervi il proprio figlio.