Il liceo del buon selvaggio
(pubblicato su il Riformista del 24/03/2010)
Il ministero della pubblica istruzione, dopo una lunga gestazione fra contrazioni scomposte in avanti e indietro, ha partorito finalmente il decreto che mette mano alla riforma dei licei; così, alla fine, abbiamo appreso che il liceo scientifico tradizionale non sarà affiancato dal famoso liceo scientifico-tecnologico che prevedeva il depennamento dell’insegnamento del latino. Il legislatore ha deciso, su questo punto, che un percorso di ordine tecnico, che ora prenderà il nome di liceo delle scienze applicate, debba rimanere all’interno dell’iter formativo degli istituti tecnici (a cui per non far torto sono state comunque decurtate quattro ore settimanali d’insegnamento). Molti presidi dei licei scientifici, intenti, dal canto loro, a tamponare la perdita di cattedre dovute ai tagli delle risorse, non hanno accolto favorevolmente tale misura perché nel loro supermercato non avranno il “farmaco equivalente” in grado di attirare quegli studenti che vogliono conseguire un titolo liceale ad un più basso prezzo di studio; chi, invece, come il sottoscritto, pensa, con la filosofia, che “la scorciatoia dell’intelligenza è la strada più lunga” ha tirato un sospiro di sollievo. Un sospiro che, però, è durato poco. Nella riforma, infatti, si prevede che gli studenti del quinto anno del liceo scientifico studino la storia per due ore alla settimana a fronte delle tre previste nel curriculum corrente; già ora non è facile portare gli studenti a uno studio compiuto della contemporaneità ma, a viale Trastevere, dove l’intellighentia pedagogica sembra tenere molto alla formazione di buoni cittadini, probabilmente intendono perseguire questo risultato più nell’orizzonte dell’istituzione di uno stato arcadico di buoni selvaggi che in quello dei consapevoli animali politici che “temprando lo scettro ai regnatori, gli allor ne sfrondino”.