La lezione di Serse
(pubblicato su ”il Riformista” del 31/08/2007)
Caro direttore,
nei telegiornali agostani abbiamo visto e continuiamo a vedere la devastazione del fuoco su quella terra greca che è stata la culla della nostra civiltà e ancora oggi rappresenta un riferimento fondamentale per ”chiunque voglia prendersi cura della propria anima affinché diventi il più possibile buona”. Di fronte alle scene quotidiane della devastazione dell’Arcadia e al pericolo di quelle fiamme che sono arrivate a cingere lo stesso sito archeologico di Olimpia il cuore ha palpitato e trepidato. La mente, dal canto suo, di fronte all’uomo moderno che per i fini più beceri ha smarrito il suo filiale rapporto con la natura, ha richiamato il coro de I Persiani di Eschilo, lì dove il poeta canta i lutti e le sciagure che la terra d’Asia dovette patire per la tracotanza del suo dissennato re. Serse, infatti, ci dice la tragedia in uno dei segni più alti e distintivi della cultura greca, espose il suo popolo alla sofferenza perché, per invadere la Grecia con il suo esercito, costruì un ponte di navi lì dove, sull’Ellesponto, la natura aveva voluto le sole acque del mare. Insomma, dal canto suo, la mente, di fronte alle fiamme agostane dall’Eubea al Peloponneso ci ha ricondotto alla lezione che le radici della nostra sapienza hanno scandito una volta per tutte: quando l’uomo distrugge la natura, pensando di costruire il suo impero, distrugge piuttosto se stesso. Fra le tante note, quindi, che l’uomo moderno dovrebbe riportare alla sua consapevolezza dal grembo della sua più alta disposizione originaria viene oggi dall’Ellade una lezione tanto più attuale quanto più è nelle nostre possibilità tecnologiche e nei nostri smarrimenti morali la capacità di mettere a repentaglio non la vita di un solo popolo ma quella dell’intera specie.