La nuova domanda oracolare di Roger Waters
La domanda oracolare di Roger Waters: “Is this the life we really want?”
(pubblicato anche su “Roma in Jazz”)
Il titolo del nuovo album di Roger Waters suona significativamente nel segno della domanda retorica “Is this the life we really want?”. Ancora un disco che mette in discussione il modello di sviluppo occidentale già dai primi versi: «The temple’s in ruin / The banker get fat / The buffalo’s gone / The mountain top’s flat / The trout in the streams are all hermaphrodite / You lean to the left but you vote to the right»; e scaglia quindi i suoi anatemi, nel segno della voce oracolare di Waters, contro il nuovo presidente degli Stati Uniti. La musica si muove fra le rarefatte sonorità dolciamare delle tastiere di The Pros and Cons of Hitch Hiking e i ritmi sincopati di Animals. Un richiamo ancora alla creatività di Waters è la costruzione di un tema melodico che viene declinato in diverse situazioni del disco e ne costituisce il filo musicale, come avveniva in The Wall e in Amused to Death. Sennonché il disco non ha l’articolazione, la profondità, la complessità e l’originalità di quelli che sono i due capolavori di Waters; forse, ma diciamo forse, non giunge nemmeno ai livelli di The Pros And Cons of Hitch Hiking. Il paragone con quest’ultimo mette comunque a fuoco un altro aspetto del nuovo disco in cui si aspetta sempre quello che rimane il suo grande assente: la chitarra elettrica con i suoi soli. Senza la collaborazione di Clapton o di Jeff Beck e lontano da Gilmour, Waters sembra aver optato per una voluta assenza; alcuni punti del disco sembrano pensati per la presenza e il dispiegamento delle stilettate di Clapton o le sciabolate di Gilmour ma probabilmente lungo la stesura dell’album Waters non è riuscito a coinvolgere nessuno dei grandi solisti della Stratocaster. Il disco (su cui si distende un velo di sonorità e strumentalità lungo il quale si sente anche la mano del produttore dei Radiohead Nigel Godrich) è comunque bello e, per essere inteso, merita certamente più di un ascolto anche perché, pur non essendone la migliore creatura, si sente comunque a ogni passo la mano di quello che è stato il più grande compositore della seconda metà del Novecento. Con cui è sempre un piacere ritrovarsi li dove il laser del CD spacca il rumore del silenzio o, meglio in questo verso, il silenzio del rumore di questi poveri tempi musicali. Di questi poveri tempi. Is this the life we really want? Probabilmente siamo ancora i più fortunati del pianera noi occidentali; ma, ci lascia ancora una volta con questo interrogativo l’oracolare spirito di Waters, siamo anche felici? E in quanti stati d’animo di felicità paghiamo i denari della nostra fortuna? Fra la musica e i testi di questo album, che non sembra al primo ascolto un capolavoro, si alza comunque ancora per un segno graffiante la zampata del genio di Waters.
PS. Il disco sembra crescere a ogni ascolto, siamo già al quarto in un giorno e mezzo, cominciamo a coglierne l’omogeneità e ad essere catturati dentro la sua magia: This is the music we really want!