La società chiusa e i suoi amici
(pubblicato su “il Riformista” del 31/08/2011)
Caro direttore,
tutti i politici, ormai, non fanno altro che parlare di democrazia; ma se li si interrogasse sul vero significato politico ed etimologico non credo che si riserverebbero dalle brutte figure che li hanno distinti fuori dal Parlamento quando sono stati intervistati sulla storia d’Italia (la cui conoscenza viene richiesta agli immigrati ma non a loro). Alla domanda sulla democrazia risponderebbero probabilmente che è il governo del popolo, meglio, per quelli di centrodestra, il governo del Popolo della Libertà. Sennonché non avrebbero risposto alla nostra domanda. Clistene, infatti, il legislatore che nel 507 a.C. instaurò ad Atene la democrazia, realizzò un’idea più complessa: bisognava finire di qualificare i cittadini per la loro appartenenza alle famiglie, i ghene, più o meno ricchi, che ne avrebbero determinato e cristallizzatola loro posizione sociale; bisognava, invece, cominciare a qualificare i cittadini secondo l’appartenenza ai quartieri, i demi, e dare ai quartieri, in cui erano presenti individui più o meno ricchi, la possibilità di eleggere alla boulè, il parlamento ateniese, i cittadini più meritevoli a rappresentare sia i ceti più abbienti che quelli meno abbienti. Una rivoluzione, diremo oggi, liberale: si puntava sulla libertà dell’individuo, sulla sua capacità di determinare il proprio futuro, di elevarsi nella scala sociale e di accedere, in base al merito, alle più alte cariche politiche. E anche una rivoluzione socialista: a tutti, soprattutto, con la partecipazione gratuita e poi finanche retribuita alle rappresentazione del teatro, veniva data la possibilità di sviluppare quella istruzione e quella cultura che gli sarebbe servita per sviluppare il proprio ingegno. Ricordiamo che al teatro i cittadini ateniesi assistevano alle rappresentazioni delle tragedie di Eschilo, Sofocle ed Euripide, alle commedie di Aristofane, solo per fare alcuni nomi; e mettiamo in rilievo il differente spirito culturale in cui poteva poteva formarsi la gioventù rispetto all’odierno fuoco incrociato di reality show e noti format gaudenti e piagnucolosi. Ma appunto veniamo all’oggi: che è rimasto della possibilità dell’individuo di coltivare il proprio ingegno e di distinguersi per il merito? Niente! Tutto è ritornano nelle mani delle famiglie, peggio, delle cricche; o se vogliamo usare un termine con cui deridiamo l’organizzazione tribale dei paesi arabi, dei clan. Una situazione molto lontana dalla democrazia a cui Karl Popper, nel 1945, tributava il suo La società aperta e i suoi nemici; purtroppo, in questa Italia, fra cricche e clan, non c’è spazio per il merito e per la possibilità. Tutto si gioca all’interno di una società chiusa e dei suoi amici; gli altri, tutt’al più al teatro, ma non quello Eschilo o di Aristofane, al teatro, meglio, al teatrino della politica e dei reality show.