La solitudine dei numeri arabi
(pubblicato su l’Espresso del 3/03/2019)
Diversi anni fa scrissi un pezzo che riguardava la nascita del liceo delle scienze applicate. Ne scrissi tirando un sospiro di sollievo perché il legislatore, per un percorso didattico che perdeva ore di storia e filosofia e soprattutto eliminava il latino, non prospettava questi studi all’interno di un’ottica liceale ma tecnica. Doveva essere un percorso tecnico. Si dica che c’è una dignità in ogni percorso di studi e dunque il mio sospiro di sollievo era legato al fatto che veniva evitata la confusione fra un percorso didattico di ordine tecnico e un percorso didattico di ordine liceale. Il primo finalizzato appunto al conseguimento di un sapere tecnico (magari con il risvolto immediato di una prospettiva lavorativa), il secondo a quello di un sapere speculativo. Il primo, percorso in cui la matematica era pensata come strumento per le discipline tecniche; il secondo, dove essa veniva pensata non come strumento ma come attività speculativa a fianco della filosofia, della storia e del latino. Negli anni, molti indirizzi di studio hanno scippato la licealità al percorso didattico del liceo classico e del liceo scientifico; il caso più eclatante, su questa strada, è quello del liceo sportivo. Né per liceali né per sportivi. Un vero imbroglio alle famiglie (più o meno consapevoli e conniventi nell’imbroglio). Sennonché se prima il problema era quello della confusione ora il problema sta diventando quello della sostituzione. Vi sono sempre più licei scientifici che si stanno adoperando per prevedere di fianco al loro percorso tradizionale quello delle scienze applicate; e, a mio avviso, la prospettiva di lunga data (ma non troppo) è quella per cui il liceo scientifico delle scienze applicate eroderà sempre di più le iscrizioni al liceo scientifico. Fino appunto a sostituirlo completamente. Cosa infatti sta succedendo a un più complessivo livello del sapere umano se non il fatto che la tecnologia si sta sostituendo in maniera sempre più esponenziale alla scienza? Che il risvolto tecnico-applicativo lascia sempre meno spazio a quello speculativo? Che per scienza, in fondo, si pensi sempre di più alla tecnologia e sempre di meno alla speculazione? Che gli eroi dei numeri arabi, nell’immaginario collettivo, siano sempre di più Steve Jobs e Bill Gates piuttosto che Isaac Newon e Albert Einstein? Ne risente dunque, di questo spirito del tempo, innanzitutto la formazione; lì dove una formazione dell’ homo abilis si sta sostituendo lentamente (ma non troppo) alla formazione dell’homo sapiens. Con il che la matematica diventerà sempre più e solo il linguaggio formale, il semplice alfabeto, della tecnica piuttosto che il linguaggio con cui l’uomo possa imparare a pensare; imparare a pensarsi; ovvero a costruire la coscienza del proprio sé (e del proprio sé nella relazione con gli altri sé) nella sinergia con il latino, la filosofia e la storia. In una solitudine dei numeri arabi che ad essi più non lascerà di fianco alleati che li aiutino a vivere e non a sopravvivere se non appunto nella loro declinazione gergale dei codici binari dell’informatica e di quelli a barre del grande supermercato che è diventato lo stesso pianeta. Con la filosofia, la storia, il latino (e il greco), la stessa matematica poteva parlare e pensare nel segno della categoria del cosmopolitismo; nella solitudine dei numeri arabi, non è invece un caso che oggi l’unità del genere umano non riesca più ad essere pensata se non sotto il rispetto del gergo tutto economico della globalizzazione. È una visione pessimistica? Solo già per formulare questa domanda, in un universo in cui gli uomini non siano più che spettrali pronomi neutri sempre meno distinti da una nuova biologia della robotica, non è pensabile una formazione che non sia passata dallo studio dei numeri arabi nella loro danza con i concetti e le coniugazioni, i versi e le gesta.