Le acque e la terra di Riace
(pubblicato su l’Espresso del 26/10/2018)
Vi è a Riace una sorte di fortunata disposizione per cui le sue acque e la sua terra restituiscono di tanto in tanto all’uomo le gemme più lucenti del genio ellenico. Le gemme del bello e quelle del buono. Quasi a voler richiamare un mondo che a tratti può dare l’impressione di adagiarsi nella dismissione estetica ed etica. Fu così che, per il bello, il richiamo di Riace arrivò da quelle acque in cui riaffiorarono nientemeno che i due bronzi in cui si rinnovava all’uomo contemporaneo la lezione dell’arte classica; quell’arte che ebbe nell’Atene di Fidia il bagliore che dall’Acropoli si spande ancora oggi intorno al globo intero. Ed è allo stesso modo che oggi un nuovo richiamo di Riace arriva da quella terra in cui, sulle pelli di una intera comunità, riaffiora la lezione di uno statuario verso della letteratura ateniese in cui una donna greca rispondeva così, in nome della legge metatemporale del buono, a chi la accusava di violare la legalità del tempo: «Leggi non scritte, eppure incrollabili, invisibili ed eterne, esse sono leggi viventi; nessuno sa quando nacquero ma certo non periranno». Parole scolpite da Sofocle sulle labbra di Antigone a cui le leggi dello Stato impedivano di dare sepoltura a uno dei suoi due fratelli; lì dove la legge della città esibiva una smagliatura rispetto a quella metatemporale della fraternità . Questo è quanto ci insegna oggi Riace con ciò che affiora, invece che dalle sue acque, dalla sua terra. Ci insegna che le maglie della legalità di uno Stato non sono sempre e dappertutto intessute della tramatura morale del buono. Questo è quanto dice la terra del Mediterraneo a chi sappia ancora vedere; per chi invece non riesca a vedere, forse bisognerà che arrivi il giorno in cui un sub riporti dal fondo delle acque del Mare Nostro non già più solo due guerrieri di bronzo; ma migliaia di fratelli di carne e di ossa a cui finora solo la pietà di una sofoclea ninfa marina ha dato una sepoltura lì dove il buono ha fatto naufragio tra i flutti del giusto.