L’importazione dell’autocrazia
(pubblicato su “il Manifesto” del 20/06/2012)
L’Italia, dopo l’11 settembre, è stata chiamata almeno in due importanti occasioni alla mobilitazione bellica in difesa della democrazia, per esportare la democrazia ci hanno detto. Un fine nobile, salvo poi scoprire, dopo aver infranto l’articolo 11 della nostra costituzione democratica, che le democrazie occidentali non avevano da temere le inesistenti armi di distruzioni di massa di Saddam Hussein né tantomeno avevano la capacità esportare il migliore frutto della Grecia del V secolo nelle lontane terre dell’Afghanistan. Piuttosto, proprio con l’ossessionato sguardo alla Grecia, ci troviamo oggi a dover constatare che, mentre eravamo così impegnati ad esportare la democrazia, la globalizzazione stava aprendo le nostre frontiere all’importazione dell’autocrazia. Ciò che più di ogni altra cosa l’Italia e l’Europa hanno infatti costruito di più democratico, anche rispetto agli Stati Uniti, il nostro sistema dello stato sociale e dei diritti del lavoro, è oggi alla mercé dei venti internazionali. Forse meno rumorosi ma certo più insidiosi dei nostri Tornado. Ci eravamo riproposti, anche attraverso di essi, di esportare la democrazia e ci troviamo invece oggi a importare, attraverso i più temibili venti dell’economia e della finanza, i più efferati sistemi sociali dell’autocrazia. Cosa acquistiamo infatti oggi dalla dittatura cinese insieme alle sue merci a basso costo? Sempre qualcosa il cui conto diventa molto più salato di qualsiasi prodotto occidentale, il conto dello sconto sui diritti del lavoro e sul sistema complessivo dello stato sociale. Finora lo sapevamo ufficiosamente. Da oggi è il sigillo del nostro capo dello stato, uomo dei diritti del lavoro nel Novecento, a dirci che le cose sono cambiate. Proprio alla Conferenza internazionale del lavoro di Ginevra gli abbiamo appena sentito leggere il passaggio che a noi suona come la resa della democrazia del terzo millennio. Sul lavoro e sulla sua dimensione internazionale, sulla democrazia e la sua esportazione sottolineiamo noi, questo è quanto abbiamo ascoltato da Napolitano: “Senza dubbio non tutte le conquiste del passato possono essere considerate ancora sostenibili e nemmeno ugualmente valide rispetto a nuove concezioni e misurazioni del benessere e della qualità della vita”. Da chi ha giustamente denunciato i fatti d’Ungheria del ’56 ci aspettavamo piuttosto, sul lavoro, un’omologa presa di posizione sulla attuale autocrazia cinese i cui carrarmati in Piazza Tienanmen arrivano oggi a sparare i loro colpi fino dentro alle fabbriche europee e ai diritti dei loro lavoratori.