L’invito del Corriere della Sera e la didattica a distanza
Il Corriere della Sera ha invitato i lettori a scrivere sul primo desiderio da realizzare quando potremo di nuovo uscire. L’ho colta come un’occasione per riflettere sulla didattica a distanza. Questa la mia risposta, il mio desiderio, i miei pensieri.
La prima cosa che farò è ritornare fra i banchi dei miei studenti. Con i miei colleghi e amici. A scuola!
E’ un occasione, questa che dà il Corriere, per dire qualcosa su un tema fondamentale, quello della didattica a distanza. Come molti altri docenti mi sto spendendo alacremente in questo lavoro che cerca di dare continuità alla vita dello spirito come i medici e gli infermieri fanno con la vita dei corpi; e ne sto ricavando anche momenti di gioia nell’incontrare i miei studenti. In tempi non sospetti, nel 2014, penso di essere stato uno dei primi a mettersi da solo di fronte a una telecamera a girare lezioni sui filosofi autore per autore e a caricare tutto su youtube. Sennonché, detto questo, vi scrivo dopo che è scesa dal piano di sopra la figlia di una mia amica che ha la maturità per chiedermi di cose fra Feuerbach, Schopenhauer e Kierkegaard. E lì è scattata ancora più forte, se ce ne fosse bisogno, la convinzione che la didattica, ma la filosofia ancora più a monte, è dialogos e, nel dialogos, diapathos! C’è un sacro morbo che ha bisogno di carni, di sguardi, di voci, nell’insegnamento!
Perciò, da una parte, poiché è mio principio assiomatico che il meglio sia nemico del bene, sono convinto che sarebbe errato pensare che poiché non possiamo fare la didattica vera e propria non ci siano spazi di bene, e per gli intelletti e per gli affetti, nella didattica a distanza. Ma, per altro verso, al di sopra dello stesso assioma voglio ribadire che non bisogna lasciarsi irretire nella prospettiva di aver trovato un bene nel male; addirittura il sommo bene nel male, secondo il principio per aspera ad astr@.
Quando potremo ritornare a scuola non ci dovremo mettere nella testa di aver scoperto la nuova prospettiva della didattica magnifica e progressiva; l’unica prospettiva magnifica e progressiva è il dialogo e il diapathos che solo negli incontri delle persone in carne e ossa, voci, movenze e sguardi, si compie, si realizza e ci realizza!
Questo è la prima cosa che tornerò a fare: ritornare fra i banchi di scuola fra le voci degli studenti e le note della filosofia; mia figlia e mia moglie posso abbracciarle, sono qui, in casa con me. Riabbracciare l’eterno della filosofia che ogni anno rifiorisce nelle primavere degli studenti e delle studentesse: questo è quanto più desidero fare quando ci diranno che potremo riuscire a riveder le stelle! Riabbracciare poi i miei colleghi e le mie colleghe e, nel diapathos del dialogos, ribadire con forza nella comunità scolastica, che nella carne e nelle ossa, nelle voci, nelle movenze e negli sguardi, è ogni didattica vera.
Probabilmente ciò sembrerà ovvio, ma è meglio che un punto sia messo; perché temo che fra qualcuno che si faccia prendere la mano dal surrogato della didattica a distanza elevandolo a nuovo principio dell’incontro didattico possa esserci; e soprattutto possano esserci i soliti noti e meno noti che su queste sempre rinnovate invenzioni scolastiche, come sempre di più avviene, lucrano profitti e posizioni.