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Recensione al libro di Stefano Cazzato ‘Una storia platonica’

By admin
giugno 10, 2017
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Recensione al libro di Stefano Cazzato, Una storia platonica. Ione e la stirpe degli interpreti

—- —(Ladolfi Editore 2017)

Ione Cover

Stefano Cazzato, nel rigore dello spirito filosofico, quello dell’autocritica e dell’autoironia, si chiede nel finale di questo suo ultimo libro “Una storia platonica”, se esso non possa essere letto nel segno dell’affermazione: “L’operazione è riuscita ma il paziente è morto”. Ovvero, un ottimo gioco di incastri e contro-incastri fra le pagine dei dialoghi di Platone; ma, poi, quello che ne esce è effettivamente il pensiero platonico?

Il libro, intanto, è veramente un bel libro e importante: dal microcosmo della lettura dello Ione, una vera e propria monografia su Platone. Tutto il pensiero platonico, con un ampio e sapiente richiamo dei testi della sua intera produzione, viene mobilitato, in vista dell’analisi del singolo dialogo; che rappresenta così solo il primo sassolino scagliato nell’acqua da cui si dilatano i sempre maggiori cerchi concentrici che abbracciano in espansione l’intero senso della filosofia di Platone. In un gioco continuo e brillante di incastri e controincastri che ci danno appunto l’idea di un’operazione a cuore aperto sul paziente ateniese.

Un’operazione in cui il bisturi, come si è detto, comincia la sua incisione dall’epidermide dello Ione. Un dialogo platonico in cui il grande filosofo immagina il solito Socrate che con il suo logos mette alle strette il malcapitato di turno: il rapsodo Ione che si vanta di essere il migliore interprete di Omero. Sennonché dalla confutazione socratica emerge come né il rapsodo, né lo stesso Omero, siano stati dei veri sapienti. I poeti compongono i loro carmi per ispirazione divina ma se interrogati sui loro stessi carmi non sanno dirne granché; gli autori delle loro meraviglie sono in realtà gli dei; loro, ispirati, sono solo un tramite; come un tramite sono a loro volta i rapsodi come Ione; essi interpretano i poeti e sono dunque a loro volta un tramite di seconda mano, un tramite del tramite; fino allo spettatore che è l’ultimo anello della catena comunicativa e nei confronti del quale ci si deve chiedere che tipo di messaggio arrivi,  rispetto all’originale, attraverso tutte queste mediazioni. E questo, come Cazzato individua ed esprime bene andando con il bisturi molto più a fondo dell’epidermide, è solo uno dei tanti e variabili casi, da un capo all’altro dei dialoghi di Platone, in cui il filosofo stesso esprima il proprio messaggio in quello che è il segno di un altro segno. Accade nel Simposio che Apollodoro racconti di un dialogo fra Socrate e altri convitati appunto a un simposio; e il messaggio più importante, in questo simposio, è ciò che Socrate ha a sua volta ascoltato e prova a riferire dalla sarcedotessa Diotima.

In questo senso, ci dice Cazzato, da un capo all’altro dei dialoghi platonici, da i più noti ai meno noti, la verità si dispiega sempre attraverso un segno che rimanda a un altro segno; a un dialogo che rimanda a un altro dialogo. La verità si esplica in quello che l’autore di questo bel libro chiama iperdialogo. Succede nello Ione e nel Simposio, ma succede anche nel Menesseno, nel Teeteto, nel Fedone, nell’Eutidemo, nel Parmenide e nel Fedro; e succede nell’ultimo libro della Repubblica così come nell’ultimo delle Leggi. In fondo la stessa Apologia di Socrate, aggiungiamo noi, è il racconto di un racconto: è noto come Platone non fosse presente al processo del maestro poiché era malato e così ci narra di quanto gli hanno narrato. Insomma, dal primissimo testo di Platone, l’Apologia di Socrate, fino all’ultimissimo, l’ultimo libro delle Leggi, attraverso tutta la più elevata produzione platonica, la verità è sempre il riferire di un riferire. Ma quante alterazioni può subire l’elemento veritativo lungo questo processo comunicativo in cui sull’attendibilità dei ‘personaggi ponte’, come li chiama Cazzato bisogna sempre, in spirito socratico, vigilare? Un interrogativo  che faremmo bene a tenere desto in questi tempi contemporanei in cui la verità si è fatta comunicazione; si è totalmente risolta nella comunicazione.

Ma, per ritornare all’antico, forse, viene da pensare, anche rispetto alla famosa critica della scrittura come veicolo della verità in vece dell’oralità, che Platone si sia voluto cautelare innanzitutto rispetto al suo stesso scrivere e dirci, in questo gioco di iperdialoghi con cui questo libro ci apre appunto all’intero filosofare del discepolo di Socrate: si stia attenti, rispetto a quell’evento irripetibile che è stato il filosofare socratico, non si può che lasciare, attraverso racconti di racconti, che un segno; Platone, probabilmente, ha talmente interiorizzato questa lezione che poi ha svolto questa prospettiva rispetto alla sua stessa filosofia della maturità. Che ci sia da riferire del filosofare di Socrate o dell’Idea del Bene, Platone ci parla sempre attraverso il segno di un segno. Lui lo cerca nella via più attendibile della filosofia e lo contrappone a quella meno attendibile dell’arte e della retorica; ma della verità ultima, sembra dirci, si può parlare sempre nel segno di un segno di un segno. E, aggiungiamo noi, non perché, soprattutto in Socrate, ci sia chissà quale esoterismo non scritto; ma perché, soprattutto secondo Socrate, di cui comunque Platone fu il principale discepolo, non si può conoscere veramente qualcosa se non si è partecipanti dialogici  nell’apprendimento della verità di quella cosa.  Questo è quanto ci spinge a pensare ancora una volta questo importante libro di Stefano Cazzato.

Cosicché, alla fine dell’operazione, il paziente non ne esce solo vivo ma ancora di più, ravvivato! Un libro che più che una filosofia, ci restituisce infatti, come avrebbero voluto Platone, e ancor più il suo maestro Socrate, un filosofare. Insomma: non gli sarebbe andata così bene nemmeno con la chirurgia di Ippocrate al filosofo di cui Whitehead nel Novecento ha scritto che l’intera storia della filosofia, rispetto al suo pensiero, non è altro che un continuo commento a margine. Chiudiamo con un affermazione esoterica (in omaggio agli interpreti platonici della scuola di Tubinga) che capirà chi si accosterà a questa lettura: altro che morto, Platone è vivo e vegeto e  … gioca a tennis fra di noi!

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Chi è Giuseppe Cappello

Giuseppe Cappello è nato a Roma nel 1969.

Dopo gli studi classici si è laureato in Filosofia presso l’Università di Roma «La Sapienza».
Insegna filosofia e storia al Liceo.

Ha pubblicato diverse sillogie di poesia: "Le danze dell’anima" , "Il canto del tempo", "Il gioco del cosmo", "Scuola", "Dì d’infinito" e "Vita nuova".

Autore del libro "Viaggio in Grecia" e ultimamente anche di un CD musicale dal titolo "Days of Infinity".

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