Salvini e la democrazia parlamentare
Quale prospettiva riservi a se stesso e all’Italia il governo che si sta costituendo in questi giorni non lo sappiamo. Sentiamo però nettamente la voce di chi, con una mossa politica sciagurata (per se stesso), si è ricacciato all’opposizione proprio nel momento in cui (con il suo 17% dei consensi) aveva l’Italia ai suoi piedi. Salvini continua a ripetere il mantra che c’è stato un furto di democrazia e uno scippo politico alla volontà popolare. Sennonché l’educazione civica che il suo governo ha introdotto come materia autonoma nelle scuole (anche se mancano ancora i decreti attuativi) dovrebbe ricordare a lui e ai suoi seguaci (che non sono sessanta milioni) il primo articolo della Costituzione italiana lì dove esso stabilisce che il popolo esercita la sua sovranità nelle forme e nei limiti della costituzione. Tra queste forme, bisognerebbe continuare nel ricordo, vi è innanzitutto il fatto che la volontà popolare si esprime ogni cinque anni per eleggere il Parlamento ed è in questa assemblea che la suddetta volontà si organizza nella rappresentanza di chi ha espresso il suffragio. Si chiama democrazia parlamentare. Contro cui invocare i sondaggi o anche l’esito di elezioni di altro genere (europee, regionali ecc.) non ha alcun senso. E non ha alcun senso non solo perché sono appunto sondaggi o elezioni assolutamente altre rispetto alle elezioni politiche ma perché nell’idea della democrazia rappresentativa parlamentare vi è un pensiero centrale: come un normale essere umano adulto non vive sulle continue e spesso contraddittorie sollecitazioni della volontà ma su una sua metabolizzazione intelligente in vista dello scopo, così un normale insieme di uomini non può essere lasciato alla mercè di una volontà compulsiva. E’ questa, quella del perseguimento di ogni volere, del suo effimero appagamento e della rinascita di nuovi voleri, la condizione di chi vive la frantumazione della sua personalità in un innumerevole susseguirsi di istanti fino alla schizofrenia; e la volontà di quell’insieme di uomini che è una comunità politica ricalca esattamente questa dinamica. Non bisogna essere esperti di filosofie politiche o dell’esistenza per capirlo. Negli ultimi anni la volontà popolare ha elevato agli altari e rigettato nella polvere nel tempo dell’istante almeno due leader e interi movimenti politici: pensiamo solo alle ascese e alle discese di Renzi e del suo Pd come di Di Maio e dei suoi 5S. Purtroppo viviamo in un tempo in cui le opinioni si acquistano con l’entusiasmo e si buttano in un angolo sperduto come si fa con gli smartphone; per difendersi da questa esistenza compulsiva per il singolo c’è l’istruzione, per una comunità politica appunto la democrazia parlamentare. Lì dove la volontà del popolo sovrano si deposita e si organizza lontano dai tempi dell’istante e del consumo ma del lustro e della ricerca di una identità. Un’identità che vive sanamente della stessa contraddizione dinamica delle forze politiche che ad essa sottintendono. Il Parlamento, nella democrazia rappresentativa, sta alla volontà popolare come la mente sta alla animosità individuale; un’animosità che può innalzarsi a una deliberazione intelligente o inclinare alla cieca tirannide degli istinti. Certo, si può obiettare che nel nostro Parlamento non si vedono personalità e partiti in grado di dirigere in maniera intelligente la volontà popolare ma questo non è un buon motivo per abbattere il sistema politico che ci permette di vivere correttamente quanto semmai una ragione che ci dovrebbe far avvicinare alla politica in modo più consapevole per non avere rappresentanti di cui dovremmo avere a pentirci già dopo un anno con la brama di cambiare tutto ad ogni passo. Cosa che sarebbe potuta avvenire, dopo Renzi e Di Maio (che fuggono dalle elezioni), anche con Salvini (che fugge dalla finanziaria) se avessimo avuto la prova di testarlo appunto sulla manovra finanziaria che gli sarebbe spettata se non avesse fatto egli stesso il colpo di testa del Papeete. Ma forse sottovalutiamo la furbizia dell’uomo in questione e non abbiamo pensato abbastanza che la sua mossa sbilenca non celi invece alle spalle (degli italiani) la furba volontà di non dover andare a cercare e mettere a bilancio i 50 miliardi di euro per la finanziaria con cui migliorare le condizioni di vita degli italiani e dunque in grado di farlo passare dalla politica del cinismo alla politica del civismo … dell’educazione civica.