Salvini e l’esercito del selfie
(pubblicato su l’Espresso del 2/09/2018)
E’ successo, fino dai tempi della storia antica, che l’abbattimento di una data istituzione statale avvenisse per opera di un individuo e di un gruppo che, al fianco della forza ideale della sua rivoluzione autoritaria, si curava di costruire anche una forza materiale: un esercito. Il ricordo può andare all’esempio lontano di Cesare, passare per il New Model Army di Cromwell, per arrivare ai più recenti esempi delle squadre fasciste di Mussolini o delle Sturmabteilung e delle Schutzstaffel di Hitler. Fino a qualche giorno fa avevamo preso coscienza ormai, volenti o nolenti, della forza ideale del populismo italiano. Ieri, durante i tragici funerali delle vittime di Genova, si è manifestata plasticamente anche la cura che, oltre ogni rispetto della morte e del dolore, il Ministro degli Interni Salvini riserva alla costruzione di un suo esercito personale. Un esercito la cui forza, intrisa di idealità malsana ma assolutamente in consonanza con lo spirito del tempo, mostra una temibilità maggiore rispetto alle strutture paramilitari pure terribili e nefaste che altri ministri degli interni con intenzioni poco edificanti approntavano ai tempi della Prima Repubblica. Si trattava, nella Prima Repubblica, di un’elite di professionisti e, diremmo oggi, di tecnici a cui la mobilitazione popolare costituiva un antagonista. Oggi invece la struttura paramilitare a cui Salvini lavora con alacre e meticolosa cura, non opponendo un diniego nemmeno durante uno straziante funerale, si risolve proprio nella mobilitazione popolare. In quella mobilitazione popolare che sempre ogni giorno di più va a costituire e serrare le fila dell’esercito del selfie; quello che non ha «più contatti / soltanto like a un altro post». Ovvero omogeneo e funzionale peraltro alla democrazia post-parlamentare 2.0 invocata e auspicata dall’associato Casaleggio.