Silvia Romano e i vegetali digitali
Abbiamo sentito ogni possibile cattiveria esprimibile rovesciarsi su una ragazza di ventitre anni che è stata segregata in un tugurio lontano da ogni affetto, ogni possibilità di comunicazione e ogni sicurezza psicofisica per diciotto mesi; e lo abbiamo sentito da molti di quelli che dicevano che sarebbero usciti migliori da questa esperienza del Covid solo perché sono dovuti stare ‘prigionieri’ a casa per due mesi. In una casa che non era certo un tugurio lontano da ogni affetto e sicurezza bensì un buon rifugio bello al calduccio con la possibilità di comunicare con chiunque essi volessero; con ognuna delle persone che o per necessità affettive o solo materiali essi avessero avuto il bisogno di contattare (dal medico fino al povero omino del delivery che gli poteva portare tutto a domicilio). Ciò che doveva rendere insomma migliori molti non li ha minimamente intaccati in ogni loro malvagità dell’animo. Sennonché, a voler pensare con la filosofia e con Socrate, si dovrebbe dire che non è per malvagità che essi hanno vomitato in tre giorni ogni sorta di brutalità che si può rivolgere a una persona (e nella fattispecie a una donna) ma per ignoranza. Per cui giustamente ci si chiede quanti soldi siano stati spesi inutilmente per mantenerli in una classe delle scuole italiane per tredici anni (dalle elementari alla fine del liceo). Altro che i soldi che essi rimproverano di aver pagato per il riscatto di Silvia Romano! Ma la filosofia, la scuola, si sa, sono al tempo d’oggi astruserie. E allora andiamo alla scienza in cui oggi forse gli ignoranti confidano almeno nell’egoismo della propria salute. Proprio questi individui che sono stati ‘costretti a casa’ per due mesi non hanno avuto la capacità di immedesimarsi nelle sofferenze di una persona che ha subito una costrizione ben peggiore e molto più lunga. Non è scattata, e pure le condizioni c’erano tutte, nessuna sorta di empatia. Parola di cui oggi tutti si riempiono la bocca ma, evidentemente, senza cognizione. La scienza, quella che abbiamo chiamato in causa, ci dice che tale empatia (la religione del Cuore Immacolato di Maria la chiama carità), tale capacità di immedesimarsi nelle sofferenze e nelle gioie dell’altro derivi dai cosiddetti neuroni specchio che sono ubicati appunto nel cervello. Con il che, al di la delle astruserie della filosofia, si può pensare più concretamente nel segno della fisiologia che in questa gente o i neuroni specchio non vi siano o magari non siano efficienti. Con il che non si tratterebbe di questioni morali o filosofiche, con prese di posizione politiche, ma semplicemente con una disabilità cerebrale. Una disabilità cerebrale, quella che non ha fatto scattare in tanti la benché minima immedesimazione rispetto a una giovane donna sequestrata per diciotto mesi, che relega coloro che da essa sono affetti al di sotto degli stessi animali. La scienza ha mostrato come i neuroni specchio e l’empatia nonché anche le stesse facoltà morali sono proprie degli stessi animali. E gli stessi animali da cui si dice tanto di dover imparare ce ne danno spesso prova. Sennonché anche questa è una chiacchiera non senza cognizione ma senza imitazione. Perché chi si è espresso nei termini della più bieca brutalità contro Silvia Romano evidentemente si colloca fisiologicamente, nella sua disabilità neuronale, al di sotto degli stessi animali. Una sorta di esseri vegetali insomma. Vegetali con la capacità di disporre di una vita digitale. Non si parli però di leoni e nemmeno di conigli da tastiera. Semplici vegetali digitali dovremo più adeguatamente concludere.