Introduzione a Cartesio
Videolezione su Cartesio e testi del filosofo sui concetti centrali attraverso cui si snoda la videolezione
Matematiche, filosofia, dubbio, res cogitans, idee, res extensa
1. CARTESIO. MATEMATICA E FILOSOFIA
La filosofia, dopo la predicazione di Cristo e lungo il corso di più di un millennio, si identificò essenzialmente con l’attività speculativa rivolta a legittimare le verità della fede. Il rivolgimento della Rivoluzione scientifica non poteva non mettere in moto un fenomeno analogo: la nuova visione della natura, con la risoluzione della fisica nel linguaggio della matematica, comportò, anche essa, la necessità di una attività speculativa che desse ragione del nuovo orizzonte entro cui operava la conoscenza dell’uomo. Se, dunque, nel Medioevo, la filosofia era stata l’ancella della teologia, nell’Età moderna, il suo compito divenne sempre più quello di dare legittimità e intelligibilità alla nuova visione della natura e dell’uomo. In questo senso fu il francese Renè Descartes, noto in italiano con il nome di Cartesio, a costituire il primo grande sistema in cui la filosofia guardava in controluce la razionalità che poteva esibire la nuova scienza moderna. Renè Descartes nacque a La Haye nel 1596 e studiò quindi in una delle scuole più note del tempo, il Collegio gesuita di La Flèche. Qui egli si impossessò soprattutto della conoscenza degli autori classici, della filosofia scolastica e della matematica; ciò che Cartesio lamentò all’uscita dagli studi del Collegio era la maturazione di un sapere solamente erudito che non gli aveva dato un metodo critico d’indagine. Si trattava, quindi, per il filosofo, di rinvenire un metodo conoscitivo con cui discernere su ogni questione il vero dal falso. Tale metodo fu rinvenuto da Cartesio nel metodo delle matematiche; sennonché si trattava poi di provare la saldezza conoscitiva propria di quel metodo. Quest’ultimo passo, che si dispiega nel Discorso sul metodo del 1637 e nelle Meditazioni sulla filosofia prima del 1641, dà conto allora del perché la filosofia di Cartesio si pone come il primo grande sistema filosofico moderno. Esso infatti: 1) rinviene nel sapere matematico il modello strutturale di ogni vero sapere; 2) pone il problema filosofico di una fondazione critica dello stesso sapere matematico; 3) rinviene il principio della fondazione critica del metodo matematico nella ragione umana. Dopo il Medioevo della teologia, del dogma e di Dio si apriva l’Età moderna della matematica, del sapere critico e della ragione umana.
Da queste cose si comprende chiaramente perché l’aritmetica e la geometria risultino di gran lunga più certe delle altre discipline; per il motivo cioè che esse sole vertono intorno ad un oggetto così puro e semplice, che non suppongono proprio alcuna cosa che l’esperienza abbia reso incerta, ma bensì consistono interamente nel dedurre logicamente delle conseguenze […]
nient’altro a parer mio si richiede a che la conoscenza sia completa, dal momento che, come è stato già detto, non si può avere alcuna scienza, se non mediante l’intuito della mente o mediante la deduzione […]
da tutto ciò è evidente, non certamente che si debbano imparar soltanto l’aritmetica e la geometria, ma semplicemente che coloro i quali cercano il retto cammino della verità non debbono occuparsi di nessun oggetto, intorno a cui non possano avere certezza pari a quella delle dimostrazioni aritmetiche e geometriche
Da questi tre passi, estratti dalle Regole per la direzione dell’intelligenza del 1630, si evince chiaramente come Cartesio pensi che, in forza della chiarezza e del rigore deduttivo dell’aritmetica e della geometria, ogni sapere che voglia costituirsi come vero sapere debba strutturarsi secondo le regole virtuose dell’aritmetica e della geometria: la chiarezza e il rigore della deduzione appunto. Vedremo avanti, quindi, come la filosofia debba interrogarsi criticamente sulla inappuntabilità della deduzione matematica e come tale inappuntabilità abbia la sua radice ultima nella costituzione della ragione umana.
2. IL DUBBIO
Cartesio rinviene nel sapere matematico il paradigma conoscitivo sul cui modello deve strutturarsi qualsiasi disciplina di ricerca che voglia elevare il suo statuto a scienza. Sennonché, dopo aver rilevato che si può a buona ragione dubitare su ogni conoscenza che proviene dai sensi, si interroga, nel segno del criticismo filosofico, se non si debba dubitare anche delle conoscenze matematiche. La stessa matematica, agli occhi di Cartesio, deve rendere conto della bontà e della legittimità delle sue operazioni. Vi può essere infatti, suppone per assurdo Cartesio, un genio maligno che altera le dinamiche conoscitive della stessa evidenza della deduzione matematica e induce l’uomo in errore. Il dubbio conoscitivo, dopo aver gravato sulla legittimità delle conoscenze che provengono dall’esperienza, quali la fisica e l’astronomia, si fa iperbolico, assoluto, e mette alla prova anche la legittimità delle conoscenze razionali. Qui la matematica passa il testimone alla filosofia che ha allora il compito di rinvenire il principio in forza del quale l’aritmetica, la geometria e l’algebra si costituiscono come scienze esatte e sciolte da ogni possibile confutazione in merito alle loro operazioni.
Noi non concluderemo male, se diremo che la fisica, l’astronomia, la medicina e tutte le altre scienze, che dipendono dalla considerazione delle cose composte, sono assai dubbie ed incerte; ma che l’aritmetica, la geometria e le altre scienze di questo tipo, le quali non trattano se non di cose semplicissime e generalissime, senza darsi troppo pensiero se esistano o meno in natura, contengono qualche cosa di certo e d’indubitabile. Perché, sia che io vegli o che dorma, due e tre uniti insieme formeranno sempre il numero cinque, ed il quadrato non avrà mai più di quattro lati; e non sembra possibile che delle verità così manifeste possano essere sospettate di falsità o d’incertezza.
Io supporrò, dunque, che vi sia, non già un vero Dio, che è fonte sovrana di Verità, ma un certo cattivo genio, non meno astuto e ingannatore che possente, che abbia impiegato tutta la sua industria ad ingannarmi. Io penserò che il cielo, l’aria, la terra, i colori, le figure, i suoni e tutte le cose esterne che vediamo, non siano che illusioni e inganni, di cui egli si serve per sorprendere la mia credulità. Considererò me stesso come privo affatto di mani, di occhi, di carne, di sangue, come non avente alcun senso, pur credendo falsamente di aver tutte queste cose. Io resterò ostinatamente attaccato a questo pensiero; se, con questo mezzo, non è in mio potere di pervenire alla conoscenza di verità alcuna, almeno è in mio potere di sospendere il mio giudizio. Ecco perché baderò accuratamente a non accogliere alcuna falsità, e preparerò così bene il mio spirito a tutte le astuzie di questo grande ingannatore, che, per potente ed astuto ch’egli sia, non mi potrà mai imporre nulla.
L’ipotesi dell’esistenza di un genio maligno che possa alterare qualsiasi operazione conoscitiva, comprese quelle delle matematiche, ha quindi la funzione di spingere l’uomo verso la ricerca di un principio ultimo in virtù del quale proprio il dubbio che grava sulla legittimità dell’aritmetica, della geometria e dell’algebra possa essere sciolto in favore della loro piena fondatezza conoscitiva.
3. IL SUPERAMENTO DEL DUBBIO E LA RES COGITANS
Il criticismo di Cartesio, l’idea che qualsiasi conoscenza non possa costituirsi come tale se non dopo che su di essa sia stata esercitata la più serrata confutazione, aveva indotto il filosofo a respingere, in prima battuta, le conoscenze sensibili e, in seconda battuta, anche il sapere delle matematiche. Sennonché, lungi dal risolvere nell’approdo dello scetticismo, il metodo del dubbio apre di fronte a Cartesio i termini di una verità inconfutabile. Il continuo esercizio della confutazione non può non implicare, infatti, l’esistenza di chi pensa e la sua stessa consapevolezza di esistere; di esistere come una sostanza pensante. Questo il principio che, dopo l’esercizio di un dubbio radicale, si dischiude di fronte al filosofo come una certezza inattaccabile: penso dunque sono, o, ancora meglio, penso, sono. L’atto del pensare implica immediatamente l’esistenza di una sostanza pensante. Che l’uomo esista come res cogitans, sostanza pensante appunto, è quel principio inconfutabile di cui Cartesio andava in cerca e su cui edificherà l’intera architettura della sua riflessione filosofica.
Dal momento che ora desideravo occuparmi soltanto della ricerca della verità, pensai che dovevo rigettare come assolutamente falso tutto ciò in cui potevo immaginare il minimo dubbio, e questo per vedere se non sarebbe rimasto, dopo, qualcosa tra le mie convinzioni che fosse interamente indubitabile. Così, poiché i nostri sensi a volte ci ingannano, volli supporre che non ci fosse cosa quale essi ce la fanno immaginare. E dal momento che ci sono uomini che sbagliano ragionando, anche quando considerano gli oggetti più semplici della geometria, e cadono in paralogismi, rifiutai come false, pensando di essere al pari di chiunque altro esposto all’errore, tutte le ragioni che un tempo avevo preso per dimostrazioni. Infine, considerando che tutti gli stessi pensieri che abbiamo da svegli possono venirci anche quando dormiamo senza che ce ne sia uno solo, allora, che sia vero, presi la decisione di fingere che tutte le cose che da sempre si erano introdotte nel mio animo non fossero più vere delle illusioni dei miei sogni. Ma subito dopo mi accorsi che mentre volevo pensare, così, che tutto è falso, bisognava necessariamente che io, che lo pensavo, fossi qualcosa. E osservando che questa verità: penso, dunque sono, era così ferma e sicura, che tutte le supposizioni più stravaganti degli scettici non avrebbero potuto smuoverla, giudicai che potevo accoglierla senza timore come il primo principio della filosofia che cercavo. Poi, esaminando esattamente quel che ero, e vedendo che potevo fingere di non avere nessun corpo, e che non ci fosse mondo né luogo alcuno in cui mi trovassi, ma che non potevo fingere, perciò, di non esserci; e che al contrario, dal fatto stesso che pensavo di dubitare della verità delle altre cose, seguiva con assoluta evidenza e certezza che esistevo; mentre, appena avessi cessato di pensare, ancorché fosse stato vero tutto il resto di quel che avevo da sempre immaginato, non avrei avuto alcuna ragione di credere ch’io esistessi: da tutto ciò conobbi che ero una sostanza la cui essenza o natura sta solo nel pensare e che per esistere non ha bisogno di alcun luogo né dipende da qualcosa di materiale. Di modo che questo io, e cioè la mente per cui sono quel che sono, è interamente distinta dal corpo, del quale è anche più facile a conoscersi; e non cesserebbe di essere tutto quello che è anche se il corpo non esistesse.
Cartesio, Discorso su metodo, IV
4. IDEE INNATE, IDEE AVVENTIZIE, IDEE FATTIZIE
La res cogitans, l’attività pensante dell’uomo, si costituisce, secondo Cartesio, di diversi tipi di idee. Il pensare, la pura facoltà di pensare, è una idea innata, vale a dire, non proviene all’uomo dall’esperienza a lui esterna ma piuttosto costituisce la stessa essenza dell’uomo come sostanza pensante. L’idea di una capra, nell’esempio stesso di Cartesio, poiché è la rappresentazione di una cosa esterna alla mente dell’uomo è una idea avventizia, vale a dire, un’idea che viene, nella mente dell’uomo, dall’esterno, dall’esperienza. La chimera, come ancora indica Cartesio, poiché non coincide con l’attività pensante e non è il frutto di una rappresentazione che abbia la sua origine nell’esperienza esterna, è una idea fattizia, vale a dire, un’idea che il frutto della libera immaginazione del pensiero.
Tra i miei pensieri, alcuni sono come le immagini delle cose, e a quelli soli conviene propriamente il nome d’idea: come quando mi rappresento un uomo, o una chimera, o il cielo, o un angelo, o Dio stesso. […] Ora, per ciò che concerne le idee, se noi le consideriamo solo in se stesse, senza riportarle ad altro, esse non possono, a parlar propriamente, essere false; poiché, sia che immagini una capra o una chimera, immagino l’una non meno che l’altra. […] Così restano i soli giudizi, nei quali debbo badare accuratamente a non ingannarmi. Ora il principale e più ordinario errore che vi si possa trovare consiste in ciò, che io giudico che le idee, le quali sono in me, siano simili o conformi a cose che sono fuori di me; poiché certamente, se considerassi le idee solamente come modi o maniere del mio pensiero, senza volerle riportare ad altro, ben difficilmente mi potrebbero dare occasione di errare.
Una volta stabilita la configurazione delle idee, Cartesio indica come, in merito al vero e al falso, cioè alla conoscenza, vi siano due problemi: per le conoscenze che non provengono dall’esperienza, quelle matematiche ad esempio, il vero e il falso hanno la loro origine nel corretto dispiegamento del semplice pensiero; le conoscenze matematiche trovano il loro fondamento, dunque, nell’accurata concatenazione delle nozioni semplici della stessa matematica; quanto, invece, alle conoscenze che provengono dall’esperienza, la radice del vero e del falso si risolve nella oggettiva rispondenza di un’idea a una cosa esterna. Sennonché: mentre l’attività pensante può legittimare la bontà e la verità delle operazioni che avvengono al suo interno, invece, la stessa attività pensante non può legittimare l’esistenza oggettiva di un’idea nella realtà esterna. Ad esempio: il giudizio che 2 + 2 è uguale a 4 è una proposizione che si costituisce in forza della pura attività di addizione delle unità che sono elementi semplici del pensiero; allo stesso modo il pensiero può legittimare il giudizio secondo cui il prodotto della base per l’altezza è uguale all’area di una figura rettangolare; che invece la capra è un oggetto reale e la chimera non è un oggetto reale sono proposizioni rispetto a cui il pensiero deve relazionarsi a un’esperienza che gli è esterna e su cui, perciò, non può essere garante ultimo.
5. L’IDEA DI DIO
Nella res cogitans, oltre alle idee innate, alle idee avventizie e alle idee fittizie, si dischiude anche l’idea di Dio, vale a dire, l’idea di una sostanza infinita, onnisciente e onnipotente. E’ un’idea che ha uno statuto specifico rispetto alle altre: essa non può essere originata dall’attività pensante dell’uomo poiché un’attività pensante finita non può mettere capo all’origine di una idea infinita. Ne segue che Dio esiste indipendentemente dal pensiero dell’uomo e bisogna supporre che sia stato proprio lui, nell’atto della creazione, a mettere nell’intelletto dell’uomo la sua stessa idea.
Non resta, dunque, che la sola idea di Dio, nella quale bisogna considerare se vi sia qualche cosa che non sia potuto venire da me stesso. Con il nome di Dio intendo una sostanza infinita, eterna, immutabile, indipendente, onnisciente, onnipotente, e dalla quale io stesso, e tutte le altre cose che sono (se è vero che ve ne sono di esistenti), siamo stati creati e prodotti. Ora, queste prerogative sono così grandi e così eminenti, che più attentamente le considero, e meno mi persuado che l’idea che ne ho possa trarre la sua origine da me solo e, per conseguenza, bisogna necessariamente concludere, che tutto ciò che ho detto per lo innanzi, che Dio esiste; poiché, sebbene l’idea della sostanza sia in me per il fatto stesso che sono una sostanza, non avrei tuttavia, l’idea di una sostanza infinita, io che sono un essere finito, se essa non fosse stata messa in me da qualche sostanza veramente infinita. […]. E certo non si deve trovare strano che Dio, creandomi, abbia messo in me questa idea, perché fosse come la marca dell’operaio impressa sulla sua opera […].
6. IL PENSIERO, LA GHIANDOLA PINEALE E IL MONDO FISICO
Cartesio, dopo aver analizzato le idee a cui mette capo l’attività pensante dell’anima, ricerca quale sia il luogo in cui tale attività pensante si incontri con le sensazioni provenienti dal corpo e elabori l’unità e la consapevolezza della sua unione con il corpo stesso; il luogo dove viene elaborato il concetto del’uomo come insieme di anima e corpo e dove si originano le idee che hanno il loro principio nelle affezioni provenienti dalla realtà fisica, le idee avventizie.
Occorre pur sapere che, per quanto l’anima sia congiunta a tutto il corpo, c’è tuttavia in questo qualche parte in cui essa esercita le sue funzioni in modo più specifico che in tutte le altre; […]
Mi sono convinto che l’anima non può avere in tutto il corpo altra localizzazione all’infuori di questa ghiandola, in cui esercita immediatamente le sue funzioni, perché ho osservato che tutte le altre parti del nostro cervello sono doppie, a quel modo stesso che abbiamo due occhi, due mani, due orecchi, come, infine, sono doppi tutti gli organi dei nostri sensi esterni. Ora, poiché abbiamo d’una cosa, in un certo momento, un solo e semplice pensiero, bisogna di necessità che ci sia qualche luogo in cui le due immagini provenienti dai due occhi, o altre duplici impressioni provenienti dallo stesso oggetto attraverso gli organi duplici degli altri sensi, si possano unificare prima di giungere all’anima, in modo che non le siano rappresentati due oggetti invece di uno: e si può agevolmente concepire che queste immagini, o altre impressioni, si riuniscano in questa ghiandola per mezzo degli spiriti che riempiono le cavità del cervello; non c’è infatti nessun altro luogo del corpo dove esse possano esser così riunite, se la riunione non è avvenuta in questa ghiandola.
7. LA REALTA’ FISICA O RES EXTENSA
La realtà, secondo Cartesio, ha una struttura dualistica e ciò appare chiaro già dalla costituzione dell’uomo: questi è res cogitans, sostanza pensante, inestesa, spirituale in riferimento all’attività della sua mente e res extensa, sostanza estesa spazialmente, inconsapevole, materiale in riferimento al corpo. Oltre il corpo dell’uomo, l’intero mondo fisico può essere risolto nei termini della res extensa, di una sostanza estesa le cui proprietà oggettive sono la figura, la grandezza il movimento e la cui scienza è dunque la geometria
Qualcuno, da capo, potrà domandare dove ho appreso quali sono le figure, le grandezze, i movimenti delle particelle di ogni corpo, molte delle quali ho qui determinato come se le avessi viste, benché sia certo che non ho potuto percepirle con l’aiuto dei sensi, poiché confesso che esse non sono sensibili. Al che io rispondo che ho, innanzi tutto, considerato tutte le nozioni chiare e distinte che possono essere nel nostro intelletto riguardo alle cose materiali, e che, non avendone trovate altre se non quelle che abbiamo delle figure, delle grandezze e dei movimenti, e delle regole, secondo le quali queste tre cose possono essere diversificate l’una dall’altra, ho giudicato che necessariamente bisognava che tutta la conoscenza che gli uomini possono avere della natura fosse tratta solo da quello; poiché tutte le altre nozioni che abbiamo delle cose sensibili, essendo oscure e confuse, non possono servire a darci la conoscenza di nessuna cosa fuori di noi, ma piuttosto possono impedirla.
Cartesio, Principi di filosofia
Ed in verità si può benissimo paragonare i nervi della macchina che vi descrivo [il corpo] ai tubi delle macchine di queste fontane; i suoi muscoli e i suoi tendini agli altri diversi congegni e molle che servono a muoverle; i suoi spiriti animali all’acqua che le muove, di cui il cuore è la fonte e le concavità del cervello sono i castelli. Inoltre, la respirazione e altre siffatte azioni che sono per essa naturali e ordinarie e che dipendono dal corso degli spiriti, sono come i movimenti di un orologio o di un mulino che il corso ordinario dell’acqua può rendere continui. Gli oggetti esterni, che con la loro sola presenza agiscono contro gli organi dei suoi sensi, e che con questo mezzo la determinano a muoversi in parecchie maniere diverse, secondo la disposizione delle parti del suo cervello, sono come degli estranei che, entrando in alcune delle grotte di queste fontane, causano essi stessi, senza pensarvi, i movimenti che vi si fanno in loro presenza.
Cartesio, L’uomo