I prof e la sudditanza psicologica
(pubblicato su il Manifesto del 14/04/2018 e il supplemento D della Repubblica del 28/04/2018 con una risposta di Umberto Galimberti)
Si moltiplicano dal Piemonte alla Sicilia gli episodi di aggressioni da parte di studenti e genitori ai professori. Stupiti, sul fronte della trincea della scuola, non ci lascia più neanche il caso della professoressa di Alessandria che è stata legata alla sedia, percossa, filmata ed esposta alla pubblica gogna su Instagram. E’ comunque un’ulteriore conferma dell’aspro clima che si respira negli istituti, soprattutto nei confronti dei soggetti più deboli, che siano essi studenti o docenti.
Ciò che però ha stupito è la risposta a questo ennesimo ed esponenziale atto di ingiuria. Verso cui non ci sembra che né il consiglio d’istituto (con la semplice sospensione a un mese senza l’interruzione della frequenza scolastica) né quella della magistratura (che non ci risulta abbia proceduto) si siano mosse appropriatamente.
Non stiamo qui comunque a dire delle pene che l’accaduto avrebbe dovuto comportare ma a rilevare invece come nelle parole della stessa docente oltraggiata vi sia il segno di un’epoca in quanto ai rapporti della società con la scuola. Ha detto la docente: «È stata una goliardata, sono stati presi provvedimenti e i ragazzi mi hanno anche chiesto scusa. Spero non lo facciano mai più». Una goliardata? E’ questo un termine adeguato? I motivi personali che hanno spinto la donna a pronunciarlo non li conosciamo ma evidentemente essi non possono essere non ricondotti nell’alveo di una certa sudditanza psicologica che a sua volta è il frutto di una sudditanza sociologica in cui versa l’istituzione scolastica nei confronti appunto di un quadro ormai completamente disgregato della vita aggregata.
“Stringiamci a coorte, sian pronti alla morte” fu quanto Mameli scrisse per il Risorgimento italiano. E questo inno, che il Presidente Ciampi ha voluto che si imparasse proprio a scuola, sembra oggi dover innanzitutto incoraggiare la componente docente e risuonare come il peana mattutino di quei tanti insegnanti che ogni giorno si recano a scuola stretti intorno alla coorte del loro sapere e della loro passione per il nuovo risorgimento di uno Stato che sembra aver sempre di più abdicato alla cultura. Cioè a se stesso.
Che lo Stato è l’uscita da uno stato di ferinità e l’entrata in quella dimensione dove l’uomo, in virtù della coltivazione e della codificazione dei suoi sviluppati istinti sociali, si eleva alla convivenza civile e alla razionalità. Quella razionalità che ancora ci permette di distinguere fra la vigliaccheria e la goliardia. Fra il gioco e il giogo, quel giogo che oggi va sotto la vulgata inflazionata ma a quanto pare insanzionata di ‘bullismo’.
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