Introduzione a Guglielmo di Ockham
Dio, la fede, la scienza naturale
1. GUGLIELMO DI OCKHAM. DIO E LA FEDE
Guglielmo di Ockham nacque nel 1290 nella contea inglese del Surrey, a venti miglia da Londra, e, dopo essere entrato in giovane età nell’ordine francescano, compì i suoi studi universitari a Oxford fra il 1312 il 1318. Fra il 1318 e il 1320, Ockham stese a Oxford una delle sue opere più importanti, il Commentario alle Sentenze. Nel 1324 fu chiamato a comparire di fronte alla corte papale di Avignone per rispondere di alcune tesi non ortodosse che si leggevano nella sua opera e, nel 1326, una commissione di sei dottori della chiesa censurò 51 articoli del Commentario. Nel 1328, Ockham, insieme al generale dell’ordine francescano Michele da Cesena, pensò bene di fuggire da Avignone e riparò presso l’imperatore Ludovico il Bavaro, a Pisa, a cui si rivolse in questi termini: “O inperatore, difendimi con la spada e io ti difenderò con la parola”; così avvenne e Ockham seguì l’imperatore a Monaco dove rimase fino al termine della sua vita che giunse fra il 1348 e il 1349. Tommaso d’Aquino aveva concepito l’esistenza di Dio come termine ultimo a cui risalire per la via razionale del rapporto delle cause e degli effetti naturali. Ockham si mosse esattamente nella direzione opposta. Per il filosofo inglese, nel segno specifico del francescanesimo, l’assunto teologico di fondo fu quello della assoluta impossibilità della ragione umana a risalire attraverso la via della causa e degli effetti naturali fino a Dio. Questa visione ebbe due implicazioni fondamentali quella di dichiarare la fede come unica via del rapporto fra l’uomo e Dio e, specularmente, quella di riportare l’attività razionale dell’uomo a occuparsi della costituzione di una scienza naturale completamente emancipata dalla teologia.
Tanta è la ripugnanza che vi è fra l’anima e la non anima, l’asino e il non asino, quanta quella che vi è fra Dio e il non Dio
Gli articoli di fede non sono principi di dimostrazione né conclusioni e non sono neppure probabili, giacché appaiono falsi a tutti o ai più o ai sapienti: intendendo per sapienti quelli che si affidano alla ragione naturale, giacché solo in tal modo si intende il sapiente e nella filosofia
Guglielmo di Ockham, Commentario alle sentenze
2. LA CRITICA ALLA SOSTANZA E ALLA CAUSALITA’
Ockham, in forza dell’assunto per cui ogni conoscenza deriva dall’esperienza, negò innanzitutto la conoscibilità razionale di Dio e poi gli stessi concetti fondamentali della filosofia aristotelica, il concetto di sostanza e il concetto di causa. No vi è infatti, secondo Ockham, una sostanza che rappresenta la struttura permanente di una cosa ma qualsiasi ente naturale è sempre l’insieme delle qualità che si manifestano nell’esperienza. Vale a dire: non si può sostenere che esista una sostanza Socrate a cui poi si aggiungono tutte le sue qualità; mentre invece è vero che l’insieme continuamente in mutamento di certe qualità costituisce quell’ente naturale a cui ci si riferisce con il nome di Socrate. E nello stesso ordine di idee Ockham argomenta in merito al concetto di causa: non è possibile stabilire un nesso strutturale di causa ed effetto fra un certo ente e un altro. Piuttosto è sempre dall’esperienza che si evince che tra un certo ente e un altro vi è stato un rapporto di causa ed effetto.
Quanto alla sostanza noi non abbiamo conoscenza se non attraverso gli accidenti
Se qualcuno vede intuitivamente Socrate e la bianchezza esistente in Socrate può evidentemente conoscere che Socrate è ed è bianco
Tra la causa e l’effetto vi è un ordine e una dipendenza essenziale e tuttavia la conoscenza semplice di una cosa non contiene la conoscenza semplice di un’altra cosa. E ciò ciascuno lo sperimenta anche in sé, perché per quanto perfettamente conosca una cosa mai penserà con un pensiero semplice a un’altra cosa che non ha mai conosciuta né attraverso i sensi né attraverso l’intelletto
Guglielmo da Ockham, Commentario alle sentenze
Qui di seguito, in appendice a quanto si è detto e si è letto, un passo di Cesare Vasoli che riassume molto bene l’intero senso della speculazione di Ockham.
Conoscere un oggetto, sperimentarne direttamente le qualità particolari, seguire i fenomeni nella loro complessità e in tutto il loro sviluppo, ecco quanto potrà servirci, secondo Ockham, a stabilire dei rapporti e delle relazioni empiriche alle quali sarebbe però assolutamente falso attribuire la minima necessità razionale che non sia suffragata di nuovo e continuamente dall’esperienza. Nessun principio logico necessario, alcuna riforosa costruzione di rapporti causali potrà mai avere la capacità di connettere tra loro dei momenti particolari e distinti, che soltanto la prova decisiva dell’esperienza può tentare di collegare, in modo assolutamente contingente e relativo