Monti. Riformismo dimezzato e totem del mercato
(pubblicato su “il Riformista” del 21/03/2012)
Poco più, ormai, di tre mesi fa, ho accolto con grande fiducia l’ascesa del Professor Monti a Palazzo Chigi; e a chi di sinistra, come me, mi esortava a diffidare di un governo che non sarebbe stato al di sopra delle parti rispondevo che bisognava, appunto, avere fiducia e aspettare di giudicare sui fatti. Ho sempre diffidato, dunque, finora dall’aprire il mio computer per scrivere un giudizio complessivo sul nuovo governo ma sento che ora è arrivato il tempo per esprimersi. E purtroppo, a malincuore, devo dire che il governo Monti ha profondamente disilluso le mie attese. Le attese di chi si aspettava che i giusti sacrifici annunciati fossero sacrifici ripartiti in misura equa e intelligente; di chi pensava che alle dure misure di desocializzazione avrebbero corrisposto altrettanto sagge e complementari misure di liberalizzazione. Questo, purtroppo, devo dire adesso, non è stato. Dentro le lacrime sociali della Fornero per la riforma sulle pensioni non vi era quel limo che, esondato da occhi lungimiranti, pensavo potesse irrigare il campo delle liberalizzazioni. Su questo terreno, piuttosto, il governo ha chiuso i suoi occhi e, chiamato a dover colpire con uguale incidenza come sulle pensioni, non ha voluto guardare; meglio, se ci aspettavamo che non guardasse in faccia a nessuno, così non è stato. I grandi gruppi economici, quelli su cui una vera riforma liberale avrebbe dovuto incidere, sono stati risparmiati, appunto, da una vera liberalizzazione del mercato. E così, se c’è stata una vera e propria riforma sociale, ad essa non ha corrisposto complementarmente, per opera di un governo che era nato sul presupposto dell’imparzialità, una vera e propria riforma liberale. Il mercato non è stato curato in entrambe le direzioni della riforma sociale e di quella liberale. Sennonché ciò, oltre a testimoniare la parzialità e dunque la politicità di questo governo, credo che purtroppo ne pregiudicherà anche i risultati; i rischi di una prossima forte recessione hanno un buon testimone. Le parole di Marchionne sulla capacità della FIAT di vendere sul mercato statunitense pena l’estinzione del gruppo stesso sono eloquenti più di ogni critica da sinistra in merito alla fiducia che gli investitori ripongono sulla capacità di spesa dei consumatori italiani; sulla possibilità che in Italia si trovi una discreta fascia della popolazione che possa sostenere l’acquisto di una Panda o di una Punto. Proprio da Marchionne, dunque, possiamo intuire che probabilmente assisteremo in Italia a un fenomeno sempre più evidente di polarizzazione della ricchezza. E la così decantata stabilizzazione dello spread finirà per indicarci più di ogni altra cosa che l’Italia ha guadagnato l’orizzonte dell’economia del pollo di Trilussa. Lo spread testimonierà finanziariamente che le due Italie che si costituiranno mangiano il fatidico bipede metà ciascuna; ma ciò in realtà avverrà perché la parte che non ha subito le liberalizzazioni mangerà il pollo intero e quella che ha subito le riforme sociali non mangerà nemmeno una briciola di pollo; finirà, se andrà bene, ad essere rappresentata dai mangiatori di patate di Van Gogh. E questo ci introduce, da ultimo, al fatto culturale che credo i Professori della Bocconi, da ottimi economisti ma da miopi filosofi, non vedono affatto. Il totalitarismo del mercato considererà sempre di più l’individualità reale un semplice predicato di un’astratta e inumana entità economico finanziaria; ad essa saranno sempre più rivolte le preghiere del nuovo Credo e soprattutto tributati, nel senso sacro e ideologico attraverso quello profano e tecnico, i sacrifici.