Virginia e la statua di Atena
(pubblicato su ‘la Stampa’ del 10/02/2017)
In questi giorni sto spiegando a scuola la figura e l’azione politica di Pericle, il più illustre politico dell’Atene democratica del V secolo a. C. Nella sua mirabile interpretazione del rapporto con il popolo, verso cui lo statista non fu mai compiacente e piuttosto, come riporta Tucidide, capace invece di contrasti negli istinti di esaltazione e di abbattimento, si spiega ai ragazzi come la politica debba essere intelligenza e razionalità. Un’intelligenza peraltro rivolta alle cose del futuro e dunque pre-videnza rispetto ai beni e ai mali eventuali per i singoli e la collettività. Quale aneddoto che, in questo senso, testimonia la grandezza di Pericle e lascia un segno nella fantasia dei ragazzi sono solito riportare la storia della costruzione della statua crisoelefantina (d’oro e d’avorio) di Atena che Pericle affidò a Fidia e che doveva essere collocata nel Partenone. Pericle, per la sua onestà congiunta con il potere, sapeva di avere molti nemici nella città. E così pensò bene di dare consiglio a Fidia sulla costruzione della statua: lo scultore avrebbe dovuto realizzarla con le parti in oro che, una volta pesate, dovevano anche essere rimovibili. Fidia ubbidì e fece il suo capolavoro. Iniziò quindi, come diremmo oggi, una stagione di uso politico della giustizia per cui, il partito conservatore, non riuscendo a scalfire il potere politico pericleo cercò di coinvolgere lo statista in una serie di processi. Prima di persone che gravitavano intorno al suo circolo politico e culturale e poi direttamente verso la sua persona. Pericle fu accusato di essersi impossessato di una parte dell’oro destinato alla statua di Atena e per questo fu portato in tribunale. Sennonché Pericle non era solo un politico onesto e incorruttibile; era innanzitutto un politico intelligente. Si presentò in tribunale e, davanti ai giudici, invitò Fidia a rimuovere le parti in oro della statua di Atena; quindi invitò lo stesso tribunale a pesare l’oro. La quantità rimossa perché rimovibile, grazie alla pre-videnza periclea, coincideva con la quantità che il popolo ateniese aveva investito nella costruzione della statua della dea. L’onestà insomma trionfò perché innanzitutto intessuta della nota dell’intelligenza politica (phronesis la chiamavano i Greci e prudenza indicativamente i Romani). Passiamo dunque a un discorso che occupa oggi il dibattito politico. Per un semplice interrogativo. L’onesta Virginia Raggi, che bene esprime la cifra costitutiva del M5S nel suo imperativo della riforma morale del Paese, ha anche nelle sue corde la virtù che fanno di un onesto un onesto vittorioso? Sapendo di accingersi a un compito improbo ovvero quello della riforma etico-politica del difficile tessuto romano ha saputo strutturare la sua onestà della nota dell’intelligente pre-videnza? Significava, questo, sapere, anche in virtù del suo ruolo di consigliera comunale, quali potevano essere i suoi nemici; quali, soprattutto, alla luce dei fatti, dovevano essere i suoi amici. I suoi amici, quelli che trafficavano fra case e polizze, sarebbero infatti dovuti essere anche gli amici della città di Roma. Temiamo che l’onestà, nel caso di Virginia Raggi, non sia stata purtroppo supportata dal lume del discernimento (della phronesis). Alla ‘prova dell’oro’ la sindaca è già caduta e con lei le stesse speranze la città. Ma una lezione può esserci, in questa vicenda, per il gruppo dirigente nazionale del M5S in vista della riforma dell’Italia. L’onestà, come si dice, non è sufficiente: essa deve essere puntellata, quanto più ci si appresta a un compito tanto arduo, dall’esercizio meticoloso e maniacale dell’intelligenza e del sapere. In questo senso l’ultima parola lasciamola a chi non è certamente di parte e, dal grembo di Atene, ha certo usato parole più nobili e durature delle nostre. Parole nei confronti di due giovani tebani, Simmia e Cebete, di belle speranze politiche in cui si potrebbero oggi ravvisare le movenze e le ambizioni dei giovani e nobili dioscuri pentastellati, a cui ricorderebbe Platone nelle parole di Socrate: «O caro Simmia, sta bene attento che l’unica moneta autentica, quella con la quale si devono scambiare tutte queste cose non sia piuttosto il sapere, e che solo ciò che si compra e si vende a prezzo di sapere e col sapere sia veramente coraggio, temperanza e giustizia e che, insomma, la virtù sia solo quella accompagnata dal sapere».