Vita Nuova /Recensione del Preside Claudio Salone
I termini della “Vita N(u)ova” che Giuseppe Cappello, con questa sua recente silloge (Vita nuova, Ladolfi, Novara, 2016, € 10) vuole significare poeticamente a partire dalla nascita della figlia Beatrice, non si spiegano compiutamente nel gusto della pur allusa citazione “alta”.
Essi ci riconducono piuttosto ad un raffinato piano cartesiano, in cui sintagma e paradigma fissano sempre un punto nello spazio e nel tempo, concreto e ideale, personale e collettivo, privato e pubblico insieme.Già l’endecasillabo iniziale che dà il titolo alla prima poesia (“L’aurea increspatura tiberina”) colloca con movenza classica l’evento generatore in un luogo storico concreto, soprattutto per chi, romano, conosce l’intimo, storico collegamento tra il Tevere sabino (“è vita ancora nel ventre sabino”) e la nascita di tanti figli di Roma.
Un poesia per molti versi liminale, dunque, quella di Giuseppe Cappello, che sa trasfigurare il quotidiano, senza mai abbandonarlo, anzi, al contrario, traendone linfa di ispirazione universale, come nella poesia dedicata ai fidanzati morti nel terremoto dell’Aquila, densa di riferimenti colti (vedi il titolo stesso, “Il giaciglio di Harshad”, la citazione dannunziana del finale, “la favole bella/Che ieri l’illuse”), che tuttavia si originano sempre nella concretezza mai dimenticata del vissuto, “nel ritmo sussultorio della ninnananna”, quel benefico terremoto che tutti i genitori provocano ogni sera tra le loro braccia per far addormentare i figli.
La piccola Beatrice ci prende dunque per mano, come la Grande, e, nel suo crescere, ci conduce a (ri)scoprire le grandi verità nascoste nel nostro esistere, spesso irriflesso, facendocene intendere il senso profondo e, soprattutto, sentire la gioia.