Dì d’infinito / Recensione sulla rivista «Il Convivio»
A questo servono i poeti!
odi Stefano Cazzato su
Giuseppe Cappello, Dì D’infinito, Edizioni del Faro, Trento, 2016, pp. 99, euro 11.50
Che cos’è che rende i nostri giorni infiniti e la nostra vita degna di essere vissuta? Cos’è che rende così speciale e intenso il nostro breve passaggio su questa terra? Se non ci fossero i poeti, che ci indicano una strada, forse perderemmo di vista l’essenziale. Sono loro, per dirla con Heidegger, che fondano e rifondano la verità. Ed è ai poeti che dobbiamo rivolgerci nei momenti di smarrimento e di confusione.
Il premio Nobel Odisseas Elitis sosteneva che la nostra mente «quando si tratta di arrivare a una presa di coscienza dell’essere, rimane in prima elementare». A meno che non si faccia guidare dalla parola poetica che è in grado di catturare, o almeno di sfiorare, quelle essenze che altrimenti le sarebbero precluse.
Queste essenze (l’incantesimo dell’amore, l’importanza degli affetti, dell’amicizia, della solidarietà, il disegno misterioso di una volontà celeste, la funzione dell’arte e della musica, il valore del sapere e del lavoro vissuti con dedizione) la poesia di Cappello le cerca nel quotidiano: è questo l’orizzonte in cui un elemento metafisico ed eterno si manifesta lanciando una sfida al mondo delle cose, sfondando il muro della materia, irradiando con un surplus di senso e di vero quelle che rischierebbero di essere esistenze banalmente anonime e impersonali.
Anche l’esperienza del concetto, che attraversa molte delle poesie di Cappello, e che è il riflesso della sua appassionata attività di insegnante di filosofia e della sua conoscenza della civiltà greca, rientra in questa ricerca-anamnesi dell’essenziale, dei valori, della bellezza e del senso. Ma più della logica a Cappello del concetto interessa la magia, la sua capacità di veicolare i significati nascosti del sensibile, di stringere corrispondenze inattese, di fondere menti e anime in uno stesso cosmo spirituale e di raggiungere – infine – anche i più lontani, in uno slancio di condivisione e di armonia che non tollera divisioni e esclusioni.
Ecco allora il «concetto che rapisce i cuori che battono nel ritmo degli IPod», il concetto che «si distende» e «bussa alle finestre serrate», ecco giovani studenti che cercano «un capitano del concetto», e lo trovano nell’insegnante empatico e impegnato che con fatica porta «loro il concetto». E ancora: «si sfila nel sole del mattino la geometria organica del concetto», «e i nostri giorni scendono giù nel concetto», «la geometria del concetto ha trovato la sua quadra», «inaspettati giri e rovesci del racconto col concetto», «grafia della peregrinazione del concetto».
Come un ‘ostetrico del pensiero’ (la metafora socratica del maieuta ricorre spesso in queste pagine accanto ad altre immagini filosofiche) Cappello cerca di far venire alla luce, fra i banchi di scuola come fra gli interstizi della vita, lo spessore umano che è in noi. Che è in noi ma può essere in ogni momento perduto o indebolito. Che è sempre minacciato e messo in tensione dai suoi opposti. E che va continuamente suscitato e resuscitato. A questo servono i poeti! A questo servono gli insegnanti!