Profumo… Brut 33
(pubblicato su il Manifesto del 28/09/2012)
Un nuovo grido di dolore si leva dalla scuola; quale sia, fra le trentatré, la nuova pugnalata che arriva su un’anima che è ormai allo stremo delle forze per il dissanguamento proveremo a dire. Lo proveremo a dire ripercorrendo un cammino personale che è il microcosmo in cui si possono riconoscere, ne sono certo, in molti fra coloro che gravitano in quell’universo di tormento che è il mondo degli insegnanti precari della scuola pubblica. Ricordo come, negli anni successivi al conseguimento della laurea, nel 1995, un giorno fui investito da un entusiasmo particolare; per il 1999 veniva bandito il concorso per l’insegnamento e finalmente si dava la possibilità di concretizzare il mio progetto di insegnare storia e filosofia ai ragazzi del liceo. Un’esistenza in cui avevo riconosciuto già dagli anni universitari, qualcuno potrà scambiare questa affermazione per una follia, la risoluzione della mia più intima essenza. Così proseguii con forza e intensità quegli studi che, già dal 1998, dopo la conclusione del servizio civile, avevo intrapreso in vista della possibilità del bando di un concorso. Ancora oggi ne ho un buon testimone in quei quadernoni di appunti di storia e di storia della filosofia che, annotati poi nei margini con una serie di postille decennali, costituiscono l’oggetto della curiosità di chi guarda dal banco alla cattedra. Grazie agli anni di studio universitario e a questa preparazione postuniversitaria mi presentai dunque all’appuntamento di una vita: il concorso che si teneva nel dicembre del 1999 a Latina. Lo ripeto, avevo già votato tanti dei miei anni alla filosofia e alla storia, soprattutto alla filosofia, e, così, alla lettura della traccia del tema che ci fu consegnato, mi sembrò che la filosofia stessa avesse voluto ripagarmi venendomi incontro nel più augurato e augurabile dei modi. Si trattava di esporre la valenza didattica della filosofia socratica e la sua imprescindibilità per l’insegnante di ogni tempo. La filosofia mi era venuta incontro attraverso i miei maestri e il primo capitolo della mia tesi di laurea: mi ero infatti laureato con il Professor Gabriele Giannantoni, allievo a sua volta di Guido Calogero, e il primo capitolo della mia tesi si costituiva tutto intorno alla valenza pedagogica del dialogare socratico. Scrivere ed uscire, quindi, per consumare, dopo alcune ore, lo spuntino della mattina fu un baleno di felicità. Così ricordo. Ma, come scrive Dante in merito a “qual è quei che volontieri acquista,/ e giugne ‘l tempo che perder lo face,/ che ‘n tutt’i suoi pensier piange e s’attrista;/tal mi fece la bestia sanza pace,/che, venendomi ‘ncontro, a poco a poco / mi ripigneva là dove ‘l sol tace./ “, fui, dopo alcune settimane, respinto dove il sole tace appunto. La filosofia mi era venuta incontro ma sotto le sue vesti vi era una bestia che “molte genti avrebbe fatto viver grame”. La lupa dantesca si presentò a me come a molti altri miei compagni onesti di concorso nel baleno del lancio di un titolo del Tg3. Le forze dell’ordine avevano scoperto e arrestato i membri di una truffa, organizzatori ed esaminatori del concorso, che avevano appunto truccato il concorso e assicurato il passaggio a chi aveva versato una cospicua somma di denaro. Per essere filologici, scrivono i giudici che poi avrebbero comminato pene (cadute oggi nell’italica prescrizione) di svariati anni ai fraudolenti: “Emerge con certezza che i concorrenti dovevano versare delle somme, certamente non per le lezioni, mai svolte […], e collegate invece alla conoscenza da parte dei concorrenti del superamento del concorso”. Nella palude pontina dunque si arenarono i miei studi, i miei sogni e il mio futuro. Anche perché il Ministero dell’Istruzione non invalidò la prova e, nella beffa che si aggiunse al danno, convalidò piuttosto i risultati del concorso. Ma, per provare che non dicevo troppo affermando che nell’esistenza dell’insegnamento sentivo la realizzazione vera della mia più intima essenza, non demorsi. E, con il 2001, cominciai a girare l’Italia per entrare in una delle scuole universitarie a cui il ministero intanto aveva affidato il reclutamento degli insegnanti, le famigerate SSIS (Scuola Specializzazione Insegnamento Secondario). A Roma, infatti, non era stata istituita quella per l’abilitazione all’insegnamento della cattedra di storia e filosofia al liceo e così provai in diverse città del centro Italia. Non si trattava più di fare un tema, con il nuovo millennio si era aperta il più tecnologico e avanzato metodo della selezione attraverso il quiz. Ricordo che a Pisa uno degli esaminatori si avvicinò e mi chiese come avessi trovato la prova; alle perplessità che esposi su un test a quiz sulla “scienza dell’essere in quanto essere” rispose che effettivamente la prova era solo per selezionarci attraverso una rilevazione dei “byte di informazione” che ognuno di noi possedeva. Si annunciava, attraverso queste parole, la commedia che avrebbe sostituito la tragedia del concorso del 1999. Ma non desistetti. Intanto, dopo una valanga di domande di assunzione presso le scuole private, cominciai ad insegnare in una di queste. Poi, non appena fu aperto il primo ciclo di SSIS a Roma, provai ancora. Almeno la chance di giocare in casa! Il primo anno non riuscii ad entrare, poi, ad un secondo tentativo, finalmente il colpaccio. Entrai e, per due anni, di mattina insegnavo, fuori Roma, e il pomeriggio, dalle tre alle sette, seguivo il corso. Sulla sua valenza pedagogica ho già scritto e ognuno che vi sia passato sa di quale tortura alla cultura e all’essere umano si tratti. Sennonché, come scrivono i Latini, per aspera ad astra. Finalmente tra le stelle, fra i banchi. Quei banchi conquistati all’inizio di ogni anno scolastico con estenuanti file ed appelli al provveditorato; quei banchi conquistati con viaggi mattinieri di due ore per raggiungere la sede di insegnamento. Ma la passione di leggere le pagine della filosofia e condividerne l’entusiasmo con i ragazzi non mi ha mai lasciato per strada anche se i treni regionali hanno più volte simulato quello che nell’anima non poteva accadere. Un’anima ora pugnalata, per chiudere con la risposta al quesito posto in inizio, da Bruto. Quale pugnalata è più amara di quella di un ministro che si dichiara tecnico, cioè figlio della scuola stessa. Quale sanguinamento più copioso dal sapere che, attraverso il concorso a quiz annunciato dal ministro Profumo, l’esercito di coloro che costituiscono un’ossatura decennale della scuola saranno scavalcati nelle graduatorie, in una guerra fra “generazioni perdute”, da coloro che si sono appena laureati o che non hanno avuto la tenacia di battere il cammino dell’insegnamento e hanno perseguito altre strade da cui adesso ritornano perché folgorati sulla via di Damasco? E, con la beffa che si aggiunge al danno, nel segno di uno sbandierato criterio della meritocrazia con cui si cinge di allori la tecnocrazia? Ricordo che il Professore con cui mi sono laureato, proprio nel segno delle lezioni socratiche, ci metteva sempre in guardia sulla differenza fra tecnocrazia e noocrazia; rimarcando a ogni pie’ sospinto la distinzione tra il governo dei tecnici e quello dell’intelletto.