Un medico per il PD
(pubblicato su “il Riformista” del 10/07/2009)
Caro direttore,
ho appreso con grande favore la discesa in campo di Ignazio Marino per la guida del Pd. Innanzitutto perché, di fronte all’ostinazione di chi non ha avuto finora il pudore di fare un passo indietro dopo un quindicennio di brancolamenti e di sconfitte, era necessaria la tempra di chi avesse il coraggio per fare due passi in avanti. Con il suo gesto, dunque, Marino si è presentato nel segno vero e proprio del coraggio. Una virtù che, oltre a caratterizzare la forma dell’operato di Marino, mi è sembrata da sempre intessere la sua capacità sostanziale di dire i sì con i sì e i no con i no rispetto alle questioni più urgenti dell’agenda politica italiana. Nel partito delle equidistanze-lontananze e dei «ma anche» una dote rara. Si conosce molto bene la chiarezza della battaglia di Marino sulla questione del testamento biologico ma è bene sottolineare come egli sia un uomo della chiarezza e dell’azione soprattutto per la proposta netta di dotare il Pd dello strumento del voto a maggioranza. In questo senso, lessi, in un’intervista a Marino, una risposta quasi ovvia che, nei bizantinismi dei movimenti paralitici del Pd, mi sembra tuttora solo nelle riflessioni del medico pensare per il grande malato: sulle questioni si discuta e poi si prendano delle decisioni a maggioranza; e chi è in minoranza si rimetta pacatamente e serenamente a tali decisioni. Quale altro è, del resto, il criterio per distinguere la genuinità del progetto di un partito che ha voluto prendere per sé il nome di democratico? Non andrò oltre nell’elencare i motivi che mi spingono a vedere del buono nella discesa in campo di Marino ma è certo che i riflussi positivi dell’Atlantico non arrivano, per la politica italiana, attraverso le quintalate di polvere di stelle degli studios hollywoodiani quanto piuttosto dalla cultura del merito, dell’efficienza e della ricerca delle cliniche di Pittsburg.