La politica dei santini e l’importanza dei simboli
Caro Preside S.,
ho letto con molto interesse il suo pezzo su La politica dei santini. Già dal titolo sapevo a cosa sarei andato incontro. Innanzitutto perché è proprio di un buon titolo l’inaugurare e anche richiamare il cammino del lettore verso un approfondimento del testo in questione. Ma anche perché conosco ormai la sua posizione sulla sinistra e sapevo dove sarebbe andato a parare. A colpire. Naturalmente, nonostante conoscessi appunto il tono che avrebbe acquisito la melodia, poiché in quanto lei scrive ravviso sempre un intendimento, lo svolgimento profondo di un concetto, mi sono avventurato nel cammino della lettura. Che non ha tradito le aspettative.
Certamente lei scrive bene lì dove dice che “negli ultimi anni abbiamo potuto misurare la pochezza della strategie politiche messe in campo da quell’area che un tempo si definiva di sinistra, in Italia e in tutto l’Occidente”; dove sottolinea come “il velo ideologico di un progressismo déraciné disteso su tutto il pianeta ha “nascosto” […] il potere incontrastato delle grandi multinazionali, ormai più ricche e potenti di interi Stati nazionali, uniche entità planetarie a fare politica sul serio e che iniziano, come era prevedibile, persino a battere moneta (Facebook)”; dove ammonisce come sia “sostanza l’oblio della lezione gramsciana espressa in Americanismo e fordismo, dove Gramsci, pur analizzando con grande acume il “frenetico produttivismo” di quel modello e condannandone gli esiti, ne accetta la sfida e traccia ben netta la linea di demarcazione con gli atteggiamenti pauperistici e antimoderni (vedi la decrescita felice).
Tutto giusto.
Anche se vorrei innanzitutto riprendere il filo da quest’ultima citazione e sottolineare che gli atteggiamenti pauperistici e antimoderni non sono stati importati in Italia, e diffusi per le vie della stessa tecnologia più evoluta, da questa sinistra che a sua volta rischia di assumere, proprio per sua mano, anche lei l’immagine del contro-santino del male. Mi limito a sottolineare che coloro che hanno diffuso questa idea della decrescita felice, oltre al giullare genovese, sono stati economisti che ora si trovano alla guida economica dell’attuale governo. Governo a cui sono arrivati grazie agli strali pauperistici e antimoderni contro la sinistra dell’avanguardia europeista. Strali spesso sottoscritti da chi ha pensato che il tradimento della sinistra avanguardista potesse essere compensato, risolto e perfino vendicato semplicemente sostituendo appunto i Quaderni del carcere con i Post del Blog delle Stelle.
Oltre alla critica alla sinistra, sarebbe più urgente e anche produttivo, mettere a fuoco una certa autocritica rispetto a quella che a me è sempre sempre sembrata la più clamorosa delle sviste politiche. Mi sembra che il prendere coscienza che la sinistra, al di là di ogni sua stortura, ha finito per diventare appunto proprio un controsantino (“e allora il PD?!”) su cui scaricare ogni fallimento di ciò che si annunciava come un vero e proprio cambiamento palingenetico della società (fino addirittura alla “abolizione della povertà”), sia un esercizio che non si può più eludere.
Come, io stesso, non voglio eludere il fatto di dirmi fieramente ancora di sinistra nonostante, come scrive lei, la sinistra si sia risolta in “partiti irenisti e globalisti, dominati dal politically correct, sostanzialmente conservatori, ben annidati nelle élites sempre più esigue ed esangui”; di dirmi di sinistra, senza dover andare a sbattere il capo, tra formazioni che contrapponendo il polemismo all’irenismo e ricadendo fra le stesse braccia della destra nel barattare l’internazionalismo con surrogati dello stesso sovranismo, hanno ricevuto il consenso dell’1,7% degli elettori alle ultime Europee; di dirmi di sinistra, e qui veniamo all’origine del discorso, non nonostante il mio declamato appoggio a quelli che un in spregio vengono chiamati i santini; di dirmi di sinistra proprio perché vedo una valenza positiva in quelli che, se vogliamo proprio chiamarli così, sono i nuovi santini della sinistra.
A D’Alema si chiedeva (giustamente ma anche ingenuamente) di dire qualcosa di sinistra. Bene, perché dovremmo stare di nuovo a romperci il capo se, vedendo un uomo, Mimmo Lucano, che fa cose di sinistra nel costituire un sistema di integrazione fra indigeni e migranti in terra di ‘ndrangheta, dovremmo censurarci nell’acclamarlo a nostro simbolo? perché dovremmo censurarci nell’acclamare una giovane donna, in grado di condurre, a trentuno anni, una nave delle dimensioni della Sea Watch, e soprattutto di salvare, nel segno della solidarietà e della legge, quaranta vite “nate sotto un accento sbagliato”? Lei, da fine grecista qual è, scrive molto bene che a sproposito si è parlato di Antigone. Ed è vero! Ma si è parlato a sproposito di Antigone perché la Capitana Carola Rackete non ha opposto un sua legge dell’interiorità alla legge dello Stato; la Capitana Carola, come hanno decretato i giudici di Agrigento, ha esattamente interpretato la legge contro chi nello Stato italiano fa ogni giorno scempio della legge. In nome, peraltro, di nessuna interiorità! Perché non dovremmo noi a sinistra, e qui lo dico anche da padre, appoggiare le battaglie di Greta? Che viene anche lei ricondotta sotto la categoria denigratoria e depotenziante del santino della sinistra?
Mi sono trovato a vedere il telegiornale con mia figlia e sono stato lungi dal pensare che il mito potesse allontanare dal logos quando mi chiedeva di quest’altra bambina e ho potuto attraverso di essa, magari anche percepita nel mito, spiegarle il logos di ciò che significa oggi la posizione del genere umano nella natura. Così, come quando ci siamo trovati di fronte al telegiornale che parlava di Carola, spiegarle il logos, che grazie al cielo il santino del mito le avvicinava, della posizione del genere umano nei confronti di se stesso.
Ben vengano dunque, caro preside, i miti! E pure anche, se vogliamo chiamarli così, i santini! Innanzitutto ben vengano per le nuove generazioni … il mio ricordo più antico del sentimento della giustizia è ancestralmente legato alla tenda dei Pellerossa che mi regalarono i miei genitori per Natale; al ricordo di come mi chiusi fieramente lì10dentro! Così come è legato ai brividi che mi mette il ripensare il cappello di carta che mio padre mi faceva, simile a quello dei muratori, quando mi portava a sentire i comizi dell’amato leader sardo a Piazza san Giovanni. Come spero questa mia lettera possa testimoniarle, e lo stesso intero nostro carissimo e preziosissimo carteggio, da quei miti pure qualche logo è venuto fuori; così diamo uno spazio anche a chi, bambino o adolescente oggi, possa avere il suo mito. Pure il suo santino.
Soprattutto in un tempo in cui tutta la macchina bellica dell’italica razza non perde occasione di baciare rosari a destra e manca e il Presidente del Consiglio ci tiene a far sapere a tutto l’italico popolo che, lui sì, gira con il vero santino di Padre Pio in tasca!