Istruzione pubblica e formazione politica
(pubblicato su “l’Unità” del 17/02/2010)
Riccardo Iacona e i suoi inviati, domenica sera, hanno portato gli Italiani che hanno seguito Rai Tre in giro per le scuole della Penisola; dal centro di Milano alla periferia di Palermo. Oltre all’indignazione per la disparità con cui le scuole paritarie si confrontano con le pubbliche in temi di diritti e doveri, probabilmente, qualcuno sarà anche stato colpito dal fascino che i migliori istituti privati di Milano esercitano sul tema della educazione dei giovani. Il fascino delle lavagne elettroniche e di mille altre risorse con cui la tecnologia informatica sostiene l’apprendimento dei ragazzi; il fascino dell’ordine e del silenzio; il fascino delle strutture deputate all’attività fisica e perfino delle divise. Il fascino del mondo dorato in cui crescono i figli della classe dirigente del Paese. Un fascino che può attrarre ma che non deve ingannare. Ci è sembrato un mondo, infatti, in cui non si scorgono quelli che sono due valori fondamentali per la formazione della gioventù: la diversità, declinata sotto ogni possibile forma in cui essa caratterizza la complessità della nostra società, e la necessità. E con ciò non voglio assolutamente detestare la scuola privata e le sue eccellenze; vorrei semplicemente riflettere sul rapporto fra la formazione della classe dirigente e la crisi della politica. Se, infatti, negli istituti privati in cui si coltiva l’eccellenza del sapere manca un rapporto quotidiano con la molteplicità e la necessità, ci si deve interrogare quanto la classe dirigente che esce da questi istituti possa anche essere, nello specifico, una classe dirigente capace di attendere alla direzione politica di una società che è sempre più impegnata nella sfida della complessità e della necessità. Usciranno da queste scuole eccellenti uomini e donne delle professioni; la domanda è se usciranno anche buoni politici. Ricordiamo che il termine politica viene dal greco polis, città, che, a sua volta, ha la stessa radice del termine che indica “i più”, la moltitudine (i polloi greci, la plebs romana, fino all’inglese contemporaneo di people); e temiamo che, già sui banchi di scuola, cominci quell’autoreferenzialità della classe dirigente che poi arriva fino sugli scranni più alti delle aule parlamentari.