Dì d’infinito / Una lettura filologica di Federica Santirosi
L’immanente trascendenza di una ricerca poetica
(una lettura filologica delle opera di Giuseppe Cappello)
di Federica Santirosi
La raccolta poetica Dì d’infinito (Ed. del Faro, giugno 2016) è articolata in tre libri, ognuno dei quali corrisponde di fatto a ciascuna delle tre precedenti pubblicazioni poetiche di Giuseppe Cappello intitolate rispettivamente Le danze dell’anima (2006), Il canto del tempo (2010) e Il gioco del cosmo (2011), tutte edite per i tipi di Aletti. Sempre dello stesso Autore, docente di filosofia e storia al Liceo, sono note altre due pubblicazioni poetiche: una si presenta come una raccolta dal titolo Scuola. With an anthology in English (Aletti, 2012) all’interno della quale sono confluite quelle poesie dedicate al mondo della scuola, in origine inserite nelle tre singole pubblicazioni sopracitate. L’altra pubblicazione dal titolo Vita nuova (G. Ladolfi editore, novembre 2016) è invece dedicata ai grandi temi dell’esistenza umana: la vita, con la nascita e la crescita della figlia, e la scomparsa del padre; questi temi sono tenuti magistralmente insieme in virtù del concetto di vita rinnovata (nuova, per l’appunto) come ci testimonia il verso conclusivo di tutta l’opera: ”Questo per te, Beatrice, dall’imperituro notaio dei geni” ad indicare la circolarità dell’esistenza che si chiude e si dischiude ininterrottamente.
La raccolta Dì d’infinito si dispiega con una sua dialettica interna e, rispetto alle pubblicazioni precedenti da cui la nostra prende le mosse, testimonia un labor limae di Giuseppe Cappello che, come vedremo, va anche oltre l’aspetto puramente formale.
Non mancano le varianti d’autore a testimoniare un’attenzione capillare dell’Autore ai propri testi poetici che, in dieci anni di pubblicazioni, non è mai venuta meno. Passiamole in rassegna.
Libro I
Le danze del noi presente come seconda lirica de Le danze dell’anima cambia quasi del tutto nella lirica che ora apre il primo libro dei Dì d’infinito con il titolo Il valzer della simbiosi. Le citerò entrambe in versione integrale:
Le danze del noi Il valzer della simbiosi
Bellezza Bellezza
La danza delle linee con i colori La danza delle linee con i colori
Quella che tu scorgi quella che io scorgo Il tuo sguardo il mio
Intelligenza Intelligenza
La danza delle parole con i silenzi La danza delle parole con i silenzi
Quella che tu giochi quella io gioco Il tuo gioco il mio
Sensibilità Simpatia
La danza della gioia con il dolore La danza della gioia con il dolore
Quella che tu vivi quello io vivo Il tuo brivido il mio
Tu ed io Tu e io
La danza delle anime nello spirito Vita con vita nel valzer della simbiosi
Simbiotici volteggi per la magia del noi In tre quarti circoli d’infinito
Anche per la poesia Speranza o naufragio le varianti tra le due versioni sono molteplici, sia di carattere stilistico che di carattere contenutistico e, come per Il valzer della simbiosi, sono tutte all’insegna di una sintassi e di un lessico più ricercati e puntuali.
Tra queste due liriche l’Autore nella raccolta dei Dì d’infinito inserisce una poesia dal titolo Istanti d’universo che nell’originale manca completamente.
Invece le tre liriche che seguono, L’aureo bagliore del tempo, Ogni tanto ci incontriamo e Le venature dell’intelligenza, presentano nella prima edizione, quella del 2006, una disposizione dei versi quasi strofica, con interi versi isolati e costituenti da soli una strofa, di per sé lapidaria; ora invece, in questa edizione del 2016, i versi si susseguono uno di seguito all’altro.
Su mille volti in inverno cambia la posizione del possessivo: da pronome nel verso ”fragili fondamenta le sue fra le vostre anime” con ellissi del predicato sono, si passa all’aggettivo del verso ”fragili le sue fondamenta fra le voste anime”. Anche qui la lirica che, nella versione originale, era divisa in due strofe di lunghezza diseguale, diventa ora un unico testo senza la divisione strofica.
Un piccolo gruppo di poesie, per l’esattezza sei in tutto, viene tralasciato e si passa alla lirica Il talamo di Itaca dove assistiamo ad un procedimento inverso rispetto a quello che il Poeta userà di frequente nel libro successivo: un verso lungo viene scisso in due versi più brevi creando degli enjambements di grande effetto.
I diamanti di Itaca hanno un’esile punteggiatura e una divisione dei versi in due parti, mentre nei Dì scompare totalmente la punteggiatura e i versi si susseguono. La medesima sorte subirà la poesia La spada spezzata.
Il Poeta omette altre liriche presenti ne Le danze dell’anima (Le carni del lutto, Le genti di Colfiorito, La melodia del pettirosso gioioso, La notte di Colombo) prima di arrivare alle liriche che concludono la pubblicazione e che ritroviamo anche in quella del 2006. In Dì d’infinito è possibile registrare la variante stilistica a cui oramai il Nostro ci ha abituati, ossia versi contigui laddove nella prima versione erano divisi in gruppi di lunghezza variabile, assimilabili alle strofe. Compaiono inoltre piccole varianti lessicali come quelle che troviamo nella poesia La danza dell’intimità al v. 5 ”Gli occhi di una fauna ramata” anziché ”Gli occhi del cerbiatto”, oppure nella lirica Il gioco di Dio nel mondo al v. 11 si può leggere ”Scorre l’etereo azzurro sul sari bianco” che va a sostituire il verso, pressoché identico, della versione precedente ”Scorre l’etereo azzurro su un panno bianco”, in cui il termine più generico panno è ora sostituito con il lemma più ricercato e specifico sari.
La poesia Donna che chiude Le danze dell’anima è nell’edizione del 2016 omessa.
Libro II
Nella poesia Ricordo le increspature del lago sia il verso 12 che il verso 15 risultano allungati per l’unione di due versi più brevi (così infatti nella precedente versione ”Quindi gli stessi raggi del sole / asciugarono il mantello dell’eterno […] Scorrono così i giorni / nei punti del cromatismo del quarzo”).
In Un’altra estate, all’ultimo verso ”in agosto” non è più un inciso contrassegnato con le due virgole.
All’interno del secondo libro, nei titoli della sezione italo-inglese dedicata a Sting, viene fatta menzione del destinatario delle liriche, Sting per l’appunto, laddove mancava nella prima versione di queste liriche, quella de Il canto del tempo (2010).
Alla p. 56 dei Dì è inserita una nuova poesia, sempre dedicata a Sting, intitolata La notte indigena dell’intimità non presente nella pubblicazione precedente.
Nel secondo libro dei Dì d’infinito ritroviamo in maniera più accentuata la scelta stilistica dell’Autore presente in tutta l’opera di fondere versi in origine più brevi (sebbene non brevissimi, e spesso oltre la misura dell’endecasillabo) in versi più lunghi, dalle movenze decisamente narrative; mi riferisco in particolare ai versi 2-3; 5; 15; 17 della lirica La danza dei cristalli: ”Inseguendo il bagliore dell’iride risalì poi fino alle sorgenti dell’anima / Lì dove l’intelligenza intesse il soffio vitale delle geometrie del discorso […] Fino a inseguire il suo volto nei lineamenti delle cicatrici dello spirito […] Della penna del primo banco che incide in quaderno per non perdere niente […] Delle menti e delle idee nei vortici del pulviscolo della luce del mattino”.
Nella poesia L’autografo primaverile della grazia, al v. 6, è stata depennata la locuzione ”a sinistra” presente invece nella precedente versione del 2010 (”Più avanti a sinistra condividono da anni il banco”) come a dare un carattere di maggiore universalità all’immagine delle due amiche che da anni condividono lo stesso banco, doppio s’intende, come oggi si usa nelle scuole).
Ne La primavera di Jude l’ultimo verso ”E un manto di eterno sui banchi” deriva da un precedente ”E un manto di eterno è la rugiada intorno ai banchi”.
Nei Dì d’infinito si chiude il secondo libro con la lirica che dà il titolo all’intera raccolta, omettendo due poesie che nell’originale la precedevano intitolate L’entuasismo dell’uno e le Increspature dell’etere; quest’ultima poesia la ritroveremo collocata come quarta del terzo libro dei Dì.
Libro III
Tolte alcune liriche presenti nell’edizione del 2011 come Il tessuto del sottotraccia, Cromatismi di un fluido omogeneo, L’ancella del pensiero, Il dado poliedrico e pochissime altre, il terzo libro dei Dì d’infinito si presenta dal punto di vista stilistico quasi identico alle liriche dell’edizione Il gioco del cosmo (2011). A volte, nei Dì esse risultano collocate con un nuovo ordine di successione rispetto alla prima edizione oppure con il titolo variato come nel caso de Il gioco del pensiero che in origine era intitolata Il sinolo della paideia.
La disposizione dei versi all’interno delle singole poesie non subisce più variazioni e anche nelle scelte lessicali si conferma complessivamente l’edizione del 2011.
Lo stile che permea tutta l’opera guarda consapevolmente al Novecento, sebbene l’Autore rimandi con occhio sempre vigile alla tradizione letteraria precedente. L’assenza pressoché totale della punteggiatura confluisce al periodare una sintassi che di volta in volta va trovata, ricercata (anche faticosamente a volte) nei viluppi dei concetti stessi. La frase è il più delle volte nominale, con l’ellissi del predicato, e procede per analogie. Esemplare in tal senso è la poesia Il gioco circolare dell’eterno:
Innumerabili soli
Ed infiniti mondi
Intessuti del contrappunto dell’astro del no
Per ogni dove i venti del plasma
Brezza delle rincorse fra l’Amore e la Contesa
Filiali genitori del gioco circolare dell’eterno
Infinito suono del suono a se stesso
Anche la lirica che dà il titolo a tutta la raccolta presenta il predicato solamente nell’ultimo verso:
Dì d’infinito
Nel libro i versi di una domanda inquieta
L’ansia dell’oltre a una nebbia di memorie
Fra i banchi in scena le risposte
Le vostre movenze e i sussulti
Le gioie e i giorni grigi
L’iride intero dei sentimenti negli sguardi
Il sole e un concetto condiviso
Dì dei bagliori in cui la mia luce s’infinita
La posizione del verbo s’infinita di stile dantesco e menzionato da Montale nella lirica Casa sul mare (”forse solo chi vuole s’infinita”) è strategica: collocato alla fine della lirica restituisce il senso di un’esistenza che va al là dei limiti spaziali e temporali, dell’ hic et nunc della dimensione scolastica. Inoltre proprio in questa poesia costruita in parte su un ritmo binario (”Le vostre movenze e i sussulti / Le gioie e i giorni grigi […] / Il sole e un concetto condiviso”) sembrerebbe delinearsi la trasfigurazione dei concetti nelle immagini, il correlativo oggettivo di montaliana memoria, soprattutto nel termine bagliori che conduce lo sguardo reale e metaforico in un abbaglio in cui si perdono i confini labili dello sguardo stesso. Si va oltre il finito.
In tal senso questa lirica richiama la poesia L’imperituro notaio dei geni che chiude i versi di Vita nuova, laddove l’Autore scrive ”dell’irriducibile bagliore della vita” intendendo la vita (genitivo soggettivo) come parte attiva di tutto il processo esistenziale in quanto essa stessa è assimilabile a una dimensione che non viene mai meno, che si fa luce e abbaglia, che va oltre il dato reale, il finito per l’appunto, e di fronte alla scomparsa del padre la si può ritrovare nel sangue del figlio che, a sua volta, diventa ”clorofilla della nuova primavera” (v. 2) dell’amata figlia.
Il verso, come è stato detto altrove, procede in moltissimi casi con movenze dello stile narrativo a cui però sapientemente sono spesso accostati versi più brevi quasi a ritrovare gli stilemi della tradizione letteraria più classicheggiante. I versi sono quasi ovunque privi di rima come a lasciar intendere che nelle liriche dei Dì d’infinito manca un sistema di chiusura perfettamente compiuto. Non cambia sostanzialmente il discorso anche la presenza di poche rime isolate in una lirica di Vita nuova intitolata La georgica dell’altipiano in cui è possibile rintracciare due rime baciate: ”Tagli di sole antimeridiano / Si affaccia ogni tanto la fauna dell’altipiano […] Al fontanile ci rinfranchiamo / E riscendiamo”.
I testi dei Dì d’infinito e di Vita nuova sono ricchi di immagini provenienti dalla cultura classica, in particolare greca, estemporanei sono i riferimenti alla cultura cristiana come nella poesia Abramo e le dee dell’Olimpo:
I giorni di un amore nuovo
Il giorno in cui Dio chiede il sacrificio del Moria
Afrodite ed Atena sotto la lama di Abramo
Il lessico è sempre ricercato se non addirittura specialistico e settoriale, preso in prestito dalla geometria e dalle scienze come nella poesia Speranza o naufragio: ”Circoli di spirale in parallelo / Chimica del carbonio per la geometria del quinto postulato /Conati del climamen per raggiungerti / Mi sfuggi nella ferrea legge d’Euclide […]”. La tonica della libertà ad esempio riproduce un lessico mutuato dalla musica, dalla scienza e dalla filosofia stessa, ambito dal quale il nostro Autore difficilmente esce; così per descrivere il movimento della bacchetta del docente intesa come guida degli alunni si scrive che ”si abbassa / perché la sinfonia cammini nella luce dell’eclissi maieutica”.
Tra l’altro proprio il lemma geometria è molto utilizzato dal nostro Autore soprattutto nelle poesie riguardanti la scuola laddove si dovrà intendere come necessità di un ordine predeterminato: ”Si rompe sul primo sole la geometria inorganica del silenzio […] Si sfila nel sole del mattino la geometria organica del concetto” (Le increspature dell’etere).
Il poeta utilizza largamente le figure retoriche. Vediamone alcune.
Il chiasmo: ”In pieghe e contropieghe / E contropieghe e pieghe […] Di nuovo nel punto / E dal punto ancora” (Il gioco del cosmo, vv. 2-3; 13-14). L’ossimoro de L’inno alla gioia del domani, v. 10: ”Discorde armonia”. La sinestesia del ”retrogusto dolce negli sguardi che ripensano” (D’inverno il dio, v. 8) oppure dei vv. 7-8 della poesia La graffiante magia della rosa gialla: ”Oggi piovono le stilettate di una tromba / e bagnano le armonie dei neri d’America”.
L’allitterazione presente in moltissime poesie e molto evidente nella lirica La danza dei cristalli (vv. 10-17):
Danza di cristalli fra i cristalli
Del concetto che rapisce i cuori che battono nel ritmo degli IPod
Della pulsazione della fanciullezza nel concetto
Dell’attenzione a una prima timida parola
Della fiducia che si schiude nelle inquietudini dell’ultima fila
Della penna del primo banco che incide il quaderno per non perdere niente
Della riflessione con l’ironia
Delle menti e delle idee nei vortici del pulviscolo della luce del mattino
Nell’opera Vita nuova nella lirica In ogni nota di noi (vv. 1-8):
Noi insieme la tua vita
Per lei però tu alla vita
Che infonde il ritmo nei tuoi giorni
Il caldo nei tuoi panni
I colori e le forme intorno
Il caldo nei tuoi cibi
Il ritmo dei tuoi cibi
Il ritmo del sonno e della veglia
Climax ascendente nella poesia In te (6-9): ”Ti stringo / E ti bacio / E ti bacio ancora / In te tutto risolvo” come ad enfatizzare in un crescendo iperbolico di emozioni e di sentimento l’approdo finale del padre nell’amore per la figlia.
Nelle poesie è possibile rintracciare l’enumerazione per asidento come quella presente ne Il brindisi dell’amore filiale:
Ogni giorno è una festa
Tintinii di sguardi con sguardi
Di odori su odori
Di giravolte fra pelle e pelle
Carne su carne
Baci e piccoli morsi
Suoni con suoni
Gli iperbati sono molto frequenti e conferiscono alla sintassi un andamento sostenuto e ricercato. Le metafore sono moltissime: ”Ed eccoti scesa dall’albero del mio abbraccio […] Dama ti muovi sulla scacchiera in cotto” (Fibrillazioni d’infinito, vv. 1; 6). Nella lirica Il giaciglio di Harshad (vv.12-19), oltre alle metafore, è possibile rintracciare la figura retorica della paronomasia ai vv. 15 e 18-19 (dissesto-dì sesto; l’illuse-luce):
Fra le braccia del cemento
Disarmato però della sua anima di ferro
Venduta al mercato della febbre dell’oro
Fulmineo il dissesto sul dì sesto
Nella maceria il sogno del panismo
Brandelli di carne e calcinacci la favola bella
Che ieri l’illuse
Che oggi luce di Harshad brilla in una stella
Il dissesto provocato dal terremoto de L’Aquila del 6 aprile (dì sesto) del 2009 culmina tragicamente nelle macerie e i brandelli di carne che vedono la favola bella dei due fidanzati che ieri li illuse (come non ricordare l’Alcyone di D’Annunzio!) concludersi in cielo e brillare nella stella di Harshad.
La sineddoche si ritrova in molte delle poesie dedicate a Sting come, per esempio, nel verso ”Ferro su ferro la pulsazione della città” (Trasfigurazione di un bagliore del Nord, v. 1). La figura della metonimia in alcuni versi di Ancora ti chiedo di stare: ”i cosacchi di Puškin” (v. 2); ”l’intelligenza figlia di un piatto di fave” (v. 11). Si noti inoltre l’anafora: quest’ultimo verso viene ripetuto tre volte nel corso della medesima lirica e la stessa sorte subisce il v. 1 ”Te ne sei andato” ripetuto ben quattro volte e felicemente ricomposto da un’altra anafora, quella dei vv. 21-23: ”Ma io ancora ti chiedo […] Ti chiedo di stare”.
A voler chiudere, dunque, rispetto a una ricerca poetica che andrebbe ancora approfondita per la sua ricchezza fra ispirazione e realizzazione, si può certamente dire che il titolo in cui l’Autore raccoglie la sua produzione, Dì d’infinito, restituisce l’alacre lavoro del poeta non solo in ordine al contenuto, ma anche rispetto alla forma. Una forma poetica che vive di una forte tensione fra la tradizione e la produzione letteraria del Novecento; una tensione che, sempre sul limite fra il passato e la contemporaneità, risolve, a guardarla anche dal punto di vista della forma, nell’istanza del classico. Ovvero di ciò che rimane del tempo quando nel tempo si coglie l’elemento che dall’interno lo trascende nell’essere.
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Federica Santirosi è insegnante di lettere e dottore di ricerca in Filologia medievale e umanistica; in questo senso ha contribuito, con la pubblicazione delle Postille del Petrarca ad Ambrogio (Codice Parigino Lat. 1757) all’Edizione Nazionale delle Opere di Francesco Petrarca (Le Lettere, 2004)