La civiltà del caradrio
La morte del musicista Ezio Bosso è finita in un attimo su ogni schermo digitale e, ahinoi, è servito questo a sanificare in maniera massiva le bacheche di Facebook e di Instagram dalla tragedia mediatica del giorno precedente e a conferire un po’ di pace e anonimato a Silvia Romano. Mi è sovvenuto in mente allora un dialogo in cui Platone parla di un particolare uccello ovvero del caradrio. La specificità di questo uccello sta nella fisiologia dell’espellere le feci mentre mangia. Platone utilizza questa immagine per rappresentare la peggiore deriva retorica della società ateniese. Una società in cui l’individuo dominante non fa altro che fare e disfare immagini comunicative. Non ha appena finito di mangiare nella prestazione retorica che già espelle quello che ha mangiato; ha bisogno dunque subito di rimangiare in un’altra prestazione retorica e però riespelle subito. In questa ordalia della comunicazione direi che ognuno di noi, chi più chi meno, chi meglio chi peggio, per quanto crede di essere assolto è ogni giorno coinvolto. Non si fa in tempo a metabolizzare una notizia che subito essa viene sostituita nel circuito della mediaticità da una nuova notizia; e oggi diventa prodotto di scarto quello in cui solo ieri avevamo messo tutti il becco come il pasto più prezioso. E ci avevamo messo il becco chi più chi meno, chi meglio chi peggio, senza il sapere. Ma non senza il sapere razionale rispetto a una conoscenza solo sensibile. Peggio. Senza il sapere diretto dei sensi e solo con quello assolutamente indiretto delle immagini. Perché la fisiologia del caradrio è possibile solo se il cibo non sia ruminato nei tempi del sapere razionale e nemmeno in quelli della di-retta opinione (orthè doxa) che si costituisce sulla conoscenza sensibile; la fisiologia del caradrio è possibile solo perché il cibo è ancora più leggero; non è razionalità, non è sensibilità ma immagine che appare e scompare; è la metabolizzazione della opinione indiretta di ciò che appare e si dissolve nel flusso digitale in cui siamo immersi. Il cibo extralight dell’evanescenza digitale in cui ognuno mentre sta finendo il pasto già quel pasto espelle; pronto e famelico di nuovo per un altro pasto fra i nostri multischermi domestici; o ancora di più, ormai, fra le appendici palmari in cui consumiamo i nostri metabolismi cognitivi ed emotivi fra la sala da pranzo e il gabinetto.