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Introduzione ad Aristotele

By admin
ottobre 26, 2013
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Videolezione su Aristotele e testi del filosofo sui concetti centrali attraverso cui si snoda la videolezione

Le cause, la sostanza, gli accidenti, l’anima, il primo motore immobile

1. LA TEORIA DELLE CAUSE E LA SOSTANZA

Aristotele nacque nel 384 a.C. a Stagira, nella penisola calcidica, in Macedonia. Il padre Nicomaco era un medico della corte di Filippo II ed è forse nel segno della sensibilità familiare che il giovane maturò una particolare attitudine all’osservazione empirica che avrebbe costituito uno degli aspetti fondamentali della sua indagine filosofica. A vent’anni, nel 364 a.C., Aristotele fu inviato a studiare ad Atene, presso l’Accademia di Platone, e divenne presto il discepolo più importante di quello che era stato il più importante discepolo di Socrate. Fin da subito, comunque, il giovane stagirita mise in discussione quella teoria che era il caposaldo della filosofia platonica, la teoria delle idee. Aristotele non condivise con Platone il pensiero che la struttura razionale degli enti naturali fosse trascendente rispetto ad essi; che gli enti naturali fossero solo una copia illanguidita della relativa idea che risiedeva nel mondo iperuranio. Il filosofo macedone elaborò così, nell’orizzonte critico rispetto alla filosofia del maestro, la sua teoria delle cause. Qualsiasi ente naturale, arrivò a concepire Aristotele, può essere spiegato con il ricorso a quattro parametri fondamentali: la causa materiale, la causa formale, la causa efficiente e la causa finale. Che sia un minerale, un vegetale, un animale o un uomo, qualsiasi ente naturale si caratterizzerà per una materia di cui è costituito, per una forma che lo distingue, per un agente che lo ha generato e per un fine che esso persegue. Prendiamo ad esempio proprio l’uomo: questi avrà nella carne e nelle ossa, nei nervi e nella pelle, la materia di cui esso è costituito; nella funzione razionale dell’anima, vale a dire nell’intelligenza, la forma che lo distingue; nei genitori l’agente che lo ha generato; e nella piena realizzazione delle sue funzioni razionali il fine verso cui è rivoltà la sua intera attività. Ora, prima di lasciare la parola allo stesso Aristotele, con i passi della Fisica e della Metafisica, bisogna sottolineare due caratteristiche fondamentali della filosofia aristotelica: lì dove Platone pensava che la vera realtà, la sostanza, si risolvesse solo nel principio formale, l’idea, Aristotele pensa che la vera realtà è sempre l’insieme della materia e della forma, ciò che egli chiama sinolo; poi, bisogna precisare che la vera realtà, per lo Stagirita, non è mai un concetto universale del sinolo; per il filosofo la vera realtà è sempre una sostanza individuale che fa capo a un sinolo concreto. La realtà non è per esempio l’uomo come insieme di materia e di forma ma sempre un uomo determinato come insieme di materia e di forma.

Definiti questi punti, bisogna prendere in esame le cause, allo scopo di sapere quali siano e quante esse siano di numero. Poiché, infatti, il presente trattato si propone per scopo la conoscenza, e noi non presumiamo di conoscere ciascuna cosa prima di averne colto ogni volta il perché, è chiaro che anche noi dobbiamo far ciò intorno alla generazione, alla corruzione e ad ogni mutamento naturale. In un modo, dunque, si dice causa ciò da cui una cosa deriva essendo in essa immanente: ad esempio, il bronzo è causa della statua e l’argento è causa della coppa. In altro modo si dice causa la forma e il modello, cioè la definizione del concetto e le parti inerenti alla definizione. Inoltre si dice causa ciò da cui deriva il principio primo del mutamento o della quiete: ad esempio […] il padre è causa del figlio, e, in generale, l’agente è causa di ciò che è fatto e ciò che muta è causa di ciò che vien mutato. Ed ancora, si dice causa il fine, cioè la causa finale: ad esempio, la sanità è causa del camminare; alla domanda infatti: perché cammina? rispondiamo: perché stia bene; e, dicendo cosí, crediamo di aver ammessa la causa. […] E poiché le cause sono quattro, è compito del fisico l’aver conoscenza di tutte; ed egli, riferendo il perché a tutte, lo assegnerà fisicamente ad esse, ossia alla materia, alla forma, al motore e alla causa finale.

Aristotele, Fisica, 194b -198a

E sostanza è il sostrato, il quale, in un senso, significa la materia, in un secondo senso significa l’essenza e la forma, e, in un terzo senso, significa il composto di materia e di forma.

Aristotele, Metafisica, 1042a

 

2. ARISTOTELE. LA SOSTANZA E GLI ACCIDENTI

Se Platone aveva inteso come realtà vera gli oggetti ideali che trascendevano il mondo della materia, Aristotele concepì la vera realtà come sinolo di forma e materia. Per il filosofo ateniese ciò che poteva essere indicato come sostanza era esclusivamente l’oggetto ideale mentre per lo Stagirita la sostanza si identificò con l’insieme di forma e di materia; in senso stretto, come un insieme determinato di forma e materia. Socrate per esempio. Sennonché, se la sostanza così concepita fu per Aristotele il paradigma essenziale della realtà, al filosofo non sfuggì che vi erano altre note che, riferendosi alla sostanza, qualificavano in maniera puntuale la struttura di ogni ente naturale. Ognuno di questi, infatti, oltre a qualificarsi come una sostanza, esibiva altre nove note costitutive: la qualità, la quantità, la relazione, il luogo, il tempo, lo stare, l’avere, l’agire, il patire. Socrate, per esempio, oltre a qualificarsi come una sostanza, si distingueva per degli accidenti: era, nel segno della qualità, un filosofo; nel segno della quantità, alto; nel segno della relazione, più vecchio di Platone; nel segno del luogo, ad Atene; nel segno del tempo; settantenne, nel segno della situazione, in piedi; nel segno dell’avere, con il libro; nel segno dell’agire, leggente; nel segno del patire, condannato. E, così come per Socrate, qualsiasi sostanza, spiega Aristotele nelle Categorie, è affetta dalle predicazioni della qualità, del la qualità, della quantità, della relazione, del luogo, del tempo, dello stare, dell’avere, dell’agire, del patire.

I termini che si dicono senza alcuna connessione esprimono, caso per caso, o una sostanza, o una quantità, o una qualità, o una relazione, o un luogo, o un tempo, o l’essere di una situazione, o un avere, o un agire, o un patire. Orbene, per esprimerci concretamente, sostanza è, ad esempio, “uomo”, “cavallo”; quantità è “lunghezza di due cubiti”, “lunghezza di tre cubiti”; qualità è “bianco”, “grammatico”; relazione è “doppio”, “maggiore”; luogo è “nel Liceo”, “in piazza”; tempo è “ieri”, “l’anno scorso”; essere in una situazione è “si trova disteso”, “sta seduto”; avere è “porta le scarpe”, “si è armato”; agire è “tagliare”, “bruciare”; patire è “venir tagliato”, “venir bruciato”.

Aristotele, Categorie, 1b – 2a

 

3. ARISTOTELE. L’ANIMA

Aristotele identificò nel sinolo, l’unione di una materia e di una forma, la sostanza. E, se per il mondo inorganico il filosofo identificò la forma con la figura geometrica, per il mondo dei vegetali, degli animali e dell’uomo stabilì che la forma dovesse essere rinvenuta nell’anima. Questa fu intesa da Aristotele come la funzione specifica che presiede alla vita di un certo corpo: la funzione vegetativa, di alimentazione e di riproduzione, nelle piante, la funzione sensitiva, di alimentazione, di riproduzione e di sensazione, negli animali e, infine, la funzione razionale, di alimentazione, riproduzione, sensazione e riflessione, nell’uomo. Fu un’analisi che il filosofo condusse in un trattato il cui nome è Sull’anima e da questa opera leggiamo i passi dove egli specifica che la forma del sinolo si risolve nell’anima e che quest’ultima può specificarsi secondo le tre suddette possibilità.

Riprendiamo ora di nuovo la strada come dall’inizio, cercando di determinare che cos’è l’anima e qual è il suo concetto più generale. Noi chiamiamo un certo genere di esseri sostanza, e diciamo sostanza in un primo senso la materia, la quale di per sé non è qualcosa di determinato; in un secondo la forma e la specie, in virtù della quale precisamente si parla di qualcosa di determinato; e in un terzo senso il composto di queste due. […]
Ora sostanze sembrano essere soprattutto i corpi e tra essi specialmente quelli naturali, giacché questi sono i princípi di tutti gli altri. Tra i corpi naturali, poi, alcuni possiedono la vita ed altri no; chiamiamo vita la capacità di nutrirsi da sé, di crescere e di deperire. Di conseguenza ogni corpo naturale dotato di vita sarà sostanza, e lo sarà precisamente nel senso di sostanza composta. Ma poiché si tratta proprio di un corpo di una determinata specie, e cioè che ha la vita, l’anima non è il corpo […] essa è sostanza nel senso di forma, ovvero è l’essenza di un determinato corpo.

Innanzitutto si deve allora parlare della nutrizione e della riproduzione, giacché l’anima nutritiva appartiene a tutti i viventi ed è la prima e la più comune facoltà dell’anima, quella in virtù di cui a tutti appartiene la vita. Le sue funzioni sono la riproduzione e l’uso dell’alimento. […] La vita dunque appartiene ai viventi in virtù di questo principio mentre l’animale è tale perché a queste funzioni aggiunge la sensazione […]. Pochissimi esseri, infine, possiedono la ragione e il pensiero. Infatti gli esseri corruttibili dotati di ragione hanno anche tutte le altre facoltà mentre non tutti quelli che possiedono una di queste facoltà hanno la ragione.

Aristotele, Sull’anima, 412a-b

 

4. ARISTOTELE. IL PRIMO MOTORE IMMOBILE

Aristotele, dunque, a differenza di Platone, non risolse la forma delle cose in una sostanza soprasensibile e concepì l’anima come una funzione che, fin dall’origine del sinolo, è immanente al corpo. Fino a qui potrebbe perciò apparire che il filosofo stagirita , a differenza del maestro, non si sia incamminato per il sentiero trascendente della metafisica. Sennonché non fu così. Nello studio della causa efficiente, infatti, Aristotele dovette ben presto accorgersi che il rimando di una sostanza a una precedente sostanza generatrice poteva essere condotto, di sostanza in sostanza e di causa in causa, in un processo all’infinito. Ciò, per lo Stagirita, non era accettabile e quindi egli si rivolse a seguire la serie delle cause efficienti fino al punto in cui avesse trovato una sostanza che potesse costituire la causa originaria del movimento senza appunto essere mossa. Procediamo con un esempio: il fiore ha la sua causa efficiente nella pianta, e questa, a sua volta, la sua causa efficiente nel seme; perché un seme germogli è però determinate il ciclo delle stagioni. Tale ciclo, per Aristotele, ha la sua causa efficiente nel movimento circolare dei cieli che cingono, nel numero di cinquantacinque, la sfera terrestre. Ogni cielo è anche esso un sinolo di materia e forma: risolve la sua materia nell’etere e la sua forma nella propria anima motrice. Sennonché la domanda ultima di Aristotele si risolve in quale sia la causa del movimento dei cieli stessi. Egli, trascendendo l’orizzonte fisico, teorizza l’esistenza di una sostanza soprasensibile a cui dà il nome di Primo Motore Immobile: è la sostanza che genera il movimento dei cieli senza essere essa stessa in movimento e necessitare dunque di una causa efficiente. Il Primo Motore Immobile, spiega poi Aristotele, ha la facoltà di muovere senza muoversi perché è oggetto dell’appetizione e del desiderio dei cieli; in questi, cioè, il movimento si genera perchè essi amano la sostanza soprasensibile.

Ma, poiché è necessario che tutto ciò che si muove sia mosso da qualcosa, se una cosa è mossa di movimento locale da un’altra che a sua volta sia mossa, e il motore a sua volta è mosso da un altro anch’esso mosso e questo da un altro, e così di seguito, è necessario che vi sia un primo motore e che non si proceda all’infinito.

Aristotele, Fisica, 242b

Poiché è possibile che le cose stiano così e poiché se non stanno così tutto deriverà dalla notte … c’è qualcosa che senza essere mosso muove, che è eterno, sostanza e attività. E a questo modo muove ciò che è oggetto di appetizione e di intellezione … esso muove come ciò che è amato mentre le altre cose muovono poiché in moto esse stesse … da un principio di questo genere dipendono l’universo e la natura.

Aristotele, Metafisica, Libro XII

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Chi è Giuseppe Cappello

Giuseppe Cappello è nato a Roma nel 1969.

Dopo gli studi classici si è laureato in Filosofia presso l’Università di Roma «La Sapienza».
Insegna filosofia e storia al Liceo.

Ha pubblicato diverse sillogie di poesia: "Le danze dell’anima" , "Il canto del tempo", "Il gioco del cosmo", "Scuola", "Dì d’infinito" e "Vita nuova".

Autore del libro "Viaggio in Grecia" e ultimamente anche di un CD musicale dal titolo "Days of Infinity".

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