Nel cuore di Lazzaro, nel cuore di Roma
Oggi si riapre! E pure io a modo mio riapro. Non sono mai uscito di casa in questi due lunghi mesi se non per salire sulla piazza all’edicola e prendere i giornali. Ma stamattina mi faccio la barba che era diventata veramente troppo lunga. Qualcosa si muove. Si, mi sento dentro una forza fresca che mi spinge a vestirmi in fretta e a scendere in garage e prendere la macchina. In moto, apro il cancello con il telecomando e, come in una delle uscite di un Top Gun con il suo F15, mi sento dentro che il momento del decollo è proprio giunto; il momento per mettere di nuovo la prua verso uno spazio che non so come mi stia li ad attendere. Il cancello si apre e via. Guadagno metri su metri verso il quartiere in cui sono nato. Quello di Piazza Bologna. Intanto comincio a cantare. Canto e ricanto una sola canzone. Ci penso e mi accorgo che è Lazarus’ Heart. E’ la canzone che Sting ha scritto quando è morta la madre con l’impeto del desiderio per cui avrebbe voluto donarle il cuore di Lazzaro per riportarla in vita. In fondo l’inconscio per una delle sue vie strane è come se mi stesse facendo cantare del ritorno alla vita. Del ritorno alla vita della mia città madre … Roma. Guadagno metri su metri, passo sotto la mia casa natale di Viale Ippocrate, e punto decisamente verso il centro. Sono a Piazza della Repubblica e i cartelli dell’accesso a Via Nazionale, dell’entrata nel cuore della Città, indicano che la via è libera. Si può entrare. Non ci penso due volte e prendo Via Nazionale. Non c’è traffico e il suo orizzonte naturale, l’Altare della Patria, si staglia di fronte a me in un cielo che si sta aprendo al sole. Metri su metri. Scendo dalla chicane di Via Quattro Novembre e sono a Piazza Venezia. Ci giro intorno per arrivare fino sotto alla bianchissima roccia calcare del Milite Ignoto. Il fuoco è acceso e oggi di guardia ci sono due militari del mio corpo dell’esercito preferito: i Lancieri di Montebello. Non so perché questi militari abbiano sempre esercitato su di me un fascino particolare … ma intanto ho fatto il giro sulla piazza. Passo nella strettoia di via del Plebiscito e il cielo si riapre su Largo Argentina. Continuo dritto per Corso Vittorio Emanuele. Di lì ormai la meta dentro si è fatta da sola; attraverso Ponte Vittorio Emanuele, scendo, una piccola virata a sinistra e ci sono. Si apre Via della Conciliazione. La via non ha la solita miriade di mirmidoni pellegrini che frammentano la scena. Lo sguardo scivola lungo di essa e s’innalza sulla facciata di san Pietro fino alla vetta della Cupola. Lì, in un attimo fuggente della metereologia, il sole si apre in uno squarcio fra le nuvole. E’ come un segnale. Questa terra madre mi sta dicendo che il suo Cuore di Lazzaro è sempre lì a battere per l’eternità. Scendo dalla macchina. Approfitto per guadagnare il centro della strada e mi fermo a guardare la Basilica. Quindi una rapida mano sul cellulare per uno scatto in un selfie a fermare questo momento d’eterno. Rientro in macchina, costeggio sulla sinistra il Colonnato di Bernini e ancora a sinistra. Si apre il tunnel di Porta Cavalleggeri e in pochi metri sono di nuovo sul lungotevere di cui riguadagno la sponda all’interno della Città. Ci vuole poco a fermarsi e un attimo lo faccio su Ponte Sant’Angelo. Anche qui l’orizzonte dello sguardo è aperto e si annoda su Castel Sant’Angelo. Lì dove la Roma cristiana si è elevata sulla Roma antica del Mausoleo di Adriano. Mi godo questo lungo sguardo sul Castello come forse lo hanno visto in tempi in cui la Citta non era una Metropoli. Quando forse anche solitario era chiuso, come adesso, perché il Papato era ad Avignone. Riguadagno la macchina, cammino per il lungotevere alberato e mi viene un pensiero di questi ultimi tempi. Quello di un immaginato ritiro da questa Città per un posto più tranquillo. Magari proprio alle pendici dei Monti Iblei da dove mio padre è partito. Ma questa Roma di oggi forse è la Città per cui mio padre è partito; in cui è arrivato. E penso alla mole di spirito che deve esserci stata dentro dentro quel viaggio; penso quando, passando di fronte alla statua di San Francesco in Piazza San Giovanni mi diceva di lui. Lì, appena giunto a Roma, solo. Un ragazzo che negli anni Cinquanta era partito dalla Sicilia più recondita e chissà con quale viaggio, di sogni, di ansie e di speranza, era giunto a Roma. E piano piano deve aver colonizzato con il suo spirito quello che nella filosofia di Fichte si chiama il non-io. Fino a giungere a ricondurlo al suo io. Allo spirito, fra l’attraversamento del successo a fianco di Guttuso e quindi al disincanto di quello che oggi chiameremo lo show business; con cui, allontanandosene, probabilmente non vole barattare l’arte. Ma lo spirito non fu solo questo per lui a Roma. Fu la famiglia. L’incontro con mia madre, la mia nascita e quella di mia sorella. Ecco che allora fra gli alberi del Lungotevere il proposito di un viaggio di ritorno alle origini si dissolve. O, meglio, ritrova la sua messa a fuoco. Qui sono le mie origini. In questa Città che è speranza e disincanto, sogno e disillusione. Per ognuno che la conosca davvero. Per ognuno che sa che nel profondo della disillusione dentro cui ti getta, lì dove arrivi proprio nel fondo, ti fa ritrovare sempre un sogno, una speranza, un sole che si riapre nella notte sua notte più buia. In fondo la dinamica che tutti ci aspettiamo in questo giorno di riaperture, di rinascite. Che altro è se non Roma che la vittoria e la caduta e poi di nuovo la vittoria … in una storia che sta scritta nella sua carne dell’arte … ogni tempo in questa Città si è rigenerato. E si rigenererà. Fedeli bisogna esserle. Passo da Piazza del Popolo ma con il pensiero sono ormai a casa dove mi aspetta una lezione su Nietzsche ai miei ragazzi della quinta liceo. Una lezione sul suo inno di “fedeltà alla terra”. Con la macchina recupero il garage. Risalgo dalle sue scale e si apre la luce del giardino di casa. In quella luce che mi arriva fra i pini di Roma e camminando sul tappeto dei loro aghi riapro la porta di casa. Sono a casa. Apro qui il computer per la lezione e so quale vibrazione scorre dentro l’invocazione di fedeltà alla terra di cui sto andando a parlare di Nietzsche ai ragazzi. L’ultima nota che mi arriva sullo schermo prima di aprire la videolezione è un’immagine di Pino Daniele che canta Yes I know my way. Penso a mio padre e dentro di me suona una melodia … yes I know my way … ed è proprio do’ m’ha portato tu. Nel cuore di Roma, nel cuore di Lazzaro.