L’Italia spiegata (e invocata) ai sovranisti
(pubblicato sull’Espresso del 17/06/2018 e sull’inserto D di Repubblica del 14/07/2018 con la risposta di Umberto Galimberti)
Chi ha seguito il discorso del Presidente Conte al Senato ha notato come di contro alle attenzioni per l’economia russa non vi sia stata invece una sola parola dedicata alla scuola italiana. Ciò non stupisce. Quello che distingue la democrazia dalla populocrazia è che nella prima il suffragio universale viene esercitato da una comunità di popolo educato nel segno di un progetto pedagogico pensato, diffuso e articolato; nella seconda, invece, di fronte alla diffusione del demo-potere si assiste sempre di più alla contrazione fino all’estinzione del demo-sapere. In questo, l’esperienza dei governi del centro-sinistra è stata fallimentare; anche i migliori, che sempre abbiamo sostenuto con vigore, hanno fallito sul piano pedagogico. Hanno importato in Italia tutta una metodologia, terminologia e direzione anglo-sassone che ha dis-orientato fino allo spiaggiamento la scuola italiana. Bisognerebbe dunque sfidare oggi i cosiddetti ‘sovranisti’, coloro che a ogni passo invocano il bene dell’Italia e la sua difesa da un presunto accerchiamento dell’Europa e dell’Africa, a farci vedere se veramente essi facciano sul serio. E questo proprio a partire dalla cartina tornasole della scuola e della pedagogia. Ci aspetteremmo da loro il ritorno a una scuola italiana. Così come fu pensata, non abbiamo paura di dirlo, da Gentile ma anche da Gramsci. Con la centralità degli studi della contemplazione e delle lettere. Bene sapendo che la stessa matematica, la fisica e le scienze in generale sono tali quando appunto è alla contemplazione e non alla ragioneria e all’economia che vengano consegnate. A quell’economia e a quell’economicismo in cui parla oggi tutto il gergo scolastico con i suoi debiti e i suoi crediti. Con l’idea mortale che dei fanciulli debbano dissacrare il tempo che si dedica alla riflessione con il battesimo al dio denaro nel suo rito iniziatorio dell’alternanza scuola-lavoro. Lì dove si toglie il respiro alle anime per dedicarlo a un precoce e spesso inutile apprendistato su come si debbano soddisfare i bisogni materiali dell’esistenza. Salvini ha detto in uno dei suoi discorsi in Parlamento, suscitando anche qualche ilarità, che l’Italia è uno dei Paesi con il maggior consumo di psicofarmaci. Si è dimenticato di dire psicofarmaci chimici. E se lo è dimenticato perché non conosce come psico-farmaco significhi farmaco dell’anima. E come questo farmaco, rispetto a cui l’anima non può rimanere a dieta (pena il fatto di andarselo a cercare nella chimica), abbia il suo naturale fondamento nella cultura. In quella cultura che in ogni manifestazione del pensiero (letteratura, filosofia, matematiche, arte e scienze) abbiamo da insegnare al mondo e su cui piuttosto finora abbiamo inseguito il mondo. Chissà che questo governo ‘sovranista’ non ci stupisca. Che ritorni pure qui all’idea che in essa la sovranità debba essere esercitata dalla cultura, nelle forme e nei limiti della … speculazione. Di cui forse però proprio Salvini non conosce che il significato economico ignorando totalmente quello che indica l’attività del filosofo, del fisico, del romanziere o dell’artista lì dove essi guardano al cielo stellato sopra di noi e alla legge morale dentro di noi.











