Salvini e l’olocausto della grammatica
(pubblicato su il Fatto Quotidiano del 18/12/2018)
Ho visto la fotografia della pagina su cui il nostro Ministro degli Interni ha lasciato il suo pensiero di omaggio nel Memoriale dell’Olocausto a Gerusalemme. Ciò che doveva essere un omaggio mi è sembrato un oltraggio; e quello che doveva essere un pensiero, non mi è sembrato andare oltre a quanto riesca a esprimere, nell’auspicio per il mondo, un’aspirante Miss Italia nella finale di Salsomaggiore. Ha scritto Salvini: «Da papà, da uomo, solo dopo da ministro, il mio impegno, il mio cuore, la mia vita xchè questo non accada mai più, e xchè i bimbi, tutti bimbi sorridano». Sulla critica al paternalismo ha già scritto Locke contro Filmer nel suo Primo trattato sul governo; consiglierei a Salvini questa lettura. Non fosse altro per avere contezza delle basi teoriche (e dei loro stessi limiti) da cui ha origine quello che lui riesce solo a declinare in una ormai straziante melassa retorica. Quindi vorrei far notare quale grado di involuzione politica sta subendo, al livello delle nostre espressioni più alte di governo, l’utilizzo del linguaggio; e non per il turpiloquio (a cui ormai siamo abituati) ma per il loquicidio: «xché» scritto in questa ripugnante forma che anche il meno consapevole dei liceali sa di dover abbandonare quando dal suo cellulare passa alla scrittura di un compito in classe, il Ministro degli Interni della Repubblica Italiana non ha saputo metterlo per un attimo da parte in quello che è uno dei luoghi più sacri del pianeta. In un olocausto della grammatica che non può non suonare blasfemo quando iscritto fra le mura di quello che è appunto il Memoriale dell’Olocausto.