L’uomo di Copenaghen
(pubblicato su il Riformista del 07/01/2010)
Le conclusioni a margine delle riunioni di Copenaghen hanno per lo più parlato di un vertice sull’ambiente che non ha fatto il passo che ci aspettava e di fatto ha lasciato insoluto il problema delle emissioni inquinanti e dei conseguenti danni per la natura. E’ chiaro che in questo senso hanno giocato i forti interessi economici delle maggiori potenze mondiali e, soprattutto, il primato che la stessa economia ha conquistato su una politica sempre meno in grado di guidare e di mediare. Sennonché, oltre allo sguardo agli aspetti materiali, ritengo che la complessa gestazione di una consapevolezza matura sui temi del rapporto dell’uomo con la natura, e quindi con se stesso, debba fare i conti con una cultura occidentale bimillenaria che ha imposto a livello globale un certo paradigma proprio in merito all’idea della natura. L’antichità platonica, il Medioevo cristiano e l’inclinatura ottocentesca della stessa scienza moderna ci hanno lasciato infatti una concezione oggettuale della natura. Questa è stata pensata, nelle diverse declinazioni del platonismo, del cristianesimo e dello scientismo positivista, come niente di più che un oggetto affidato all’opera demiurgica di un dio, di Dio e poi dello stesso uomo. Se nella nostra storia, che è poi quella che abbiamo imposto al mondo, l’idea è stata quella di un dio o di un uomo che hanno sempre pensato di dover conferire un ordine a una materia inerte, informe e caotica forse è il momento di recuperare l’antica saggezza presocratica secondo cui la natura è essa innanzitutto attività generativa permeata di un ordine che, come riteneva Eraclito, non gli è stato dato né da un dio né meno che mai da un uomo. E di qui di nuovo a Copenaghen. E’ l’uomo a essere chiamato a rimettere al centro la consapevolezza di essere stato generato in una certa attività e in un certo ordine naturale in cui si è data la possibilità della vita della nostra specie. Un’attività e un ordine naturale che non hanno nulla da temere dalle nostre emissioni di anidride carbonica; che non hanno nulla da temere dall’uomo quanto piuttosto hanno da temere per l’uomo. Per questa increspatura intelligente della natura a cui altro non bisogna augurare che la sua specifica essenza sia il migliore scudo alla propria esistenza.