La chimera della Binetti
(pubblicato su il Riformista del 20/10/2007)
Dopo l’articolo su ”il Riformista” in cui Claudia Mancina esprimeva la sua perplessità politica in merito all’elevazione della “perplessità viscerale” a criterio di giudizio e di azione legislativa con cui la senatrice Paola Binetti si era espressa sul delicato tema degli embrioni chimera, abbiamo letto, sempre su ”il Riformista”, l’articolo in cui la stessa senatrice giustificava in qualche modo le sue affermazioni richiamandosi alla filosofia aristotelica secondo cui ”non vi è niente nell’intelletto che prima non è stato nei sensi”. Puntualizziamo, in prima istanza, come tale affermazione non sia riconducibile ad Aristotele quanto piuttosto, come indica Hegel, a ”un antico detto che si suole attribuire falsamente ad Aristotele”. Poi, in seconda istanza, diremo alla senatrice Binetti, che proprio da Aristotele viene l’indicazione a non confondere l’azione guidata dai sensi con quella sotto la direzione dell’intelletto. Scrive infatti il filosofo greco in un passo del De anima in cui si preoccupa di definire il rapporto fra conoscenza e azione: “Provare piacere e dolore è agire con la medietà sensitiva riguardo al bene o al male. La ripulsa e l’appetizione non sono diverse né tra loro né dalla facoltà sensitiva. Invece nell’anima razionale le immagini sono presenti al posto delle sensazioni e quando essa afferma il bene o il male, lo evita o lo persegue”. Ecco, leggendo bene il passo, la ”perplessità viscerale” della Binetti sembra proprio ricadere in quella ”ripulsa” aristotelica a cui il filosofo greco non assegna certamente la guida dell’azione umana. Piuttosto, tale guida, come Aristotele conclude brevemente nel passo, trova il suo principio ispiratore nell’anima razionale. Si legge così nell’Etica nicomachea: ”non è che il piacere e il dolore corrompano e distorcano ogni tipo di giudizio bensì solo i giudizi che riguardano l’azione”. Insomma, non è forse errato pensare che Aristotele sia stato più attento della senatrice Binetti a non configurare in maniera chimerica, per una parte sensibilità e per una intelligenza, il principio distintivo dell’azione umana e, più specificamente, del buon politico.