La scuola di McDonald Trump
Un’amica, coinvolta giustamente dall’entusiasmo del proprio figliuolo per l’inizio di un’avventura nella scuola canadese, dopo avermene riportato alcune note, mi ha chiesto una riflessione sul rapporto con la nostra scuola italiana. Mi ha scritto del giusto entusiasmo del ragazzo che ha trovato ad accoglierlo un armadietto tutto per sé e poi soprattutto della struttura didattica canadese che prevede che si studino solo quattro materie a scelta dell’alunno; quattro materie le cui lezioni sono poi ben intervallate da puntuali e suppongo altamente organizzati break ristoratori. Insomma: agli antipodi degli anacronismi didattici italiani.
Tutti noi, in verità, siamo cresciuti con le mamme che ci cantavano di quanto era bella la casetta in Canadà. Ed è giusto in fondo che questa fiaba, come vogliono le fiabe, si rinnovi nel canto fra le mamme e i figli. Si tratti di una casa o di un armadietto (Propp insegna che ciò che importa della fiaba è la morfologia). Sennonché, poi, se dalla favola, il mythos, vogliamo passare al ragionamento, il logos, continuo a pensare che il sapere vero sia tanto più vero quanto più è anacronostico, al di là del tempo; perché deve nutrire, direi sfamare, quella parte dell’uomo che fa si che l’uomo sia tale, ovvero quella parte dell’uomo che è al di là del tempo: l’anima. E non perché essa trovi la salvezza in una più o meno plausibile vita al di là del tempo, ma perché essa possa giungere a qualche sorta di vera felicità in questo tempo.
Mai più di oggi vediamo come l’equazione fra paesi civili, un termine quest’ultimo che per noi ormai significa sempre più esclusivamente ‘progrediti tecnologicamente’, e paesi felici non sia proprio nel segno della proporzionalità diretta. Anzi! Nel modello di civiltà che si sta progressivamente sempre più imponendo come esclusiva in Occidente (e nel mondo) siamo sempre più tecnologizzati e sempre meno felici. Questo, a mio avviso, perché le anime non hanno più il cibo a loro congenere. Che è poi il cibo che gli offriva fino a un po’ di tempo fa la scuola italiana. Anche lei adesso trionfalmente in marcia verso la civiltà, con lo scimmiottamento dei sistemi e della cultura anglo-sassone. Lo scimmiottamento appunto. Che poi, quando si tratta di cominciare dalla fiaba, l’armadietto, anche per quei docenti che arrivino nuovi in una scuola, già sembra un miracolo l’arrivo di un collaboratore scolastico (ti darà subito del ‘tu’ – all’inglese ormai – e tu, per carità, guardati bene dal pronunciare la parola ‘bidello’) a dare una chiave e un posto per uno sgangherato sportello.
Almeno, senza fiaba, allora, io, anacronisticamente, mi preoccuperei di salvaguardare il logos, ovvero quel poco che c’è rimasto della scuola come era stata genialmente pensata. La scuola in cui il logos stava nelle fiabe: l’Iliade, l’Odissea, la Divina Commedia … ormai “sempre meno divina e sempre più commedia”; una commedia, quella ormai tutta umana, troppo umana, che nei paesi civili non trova più una scuola che possa formare degli individui che, nutriti dal logos delle fiabe, non credano a quelle fiabe senza logos narrate non benevolmente dalle mamme, ma da quei gruppi di fuoco demagogici che sono riusciti a portare alla guida del Paese più all’avanguardia del pianeta (quello da cui dovremmo mutuare la scuola) l’uomo che meno si interessa della sopravvivenza del genere umano sul pianeta.