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Vespaio platonico

By admin
ottobre 16, 2017
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In molti indirizzi del terzo anno della scuola superiore italiana si insegna ancora, grazie al cielo, la filosofia. Si comincia subito in grande e così capita, fra l’altro, di leggere con gli studenti alcuni passi sui diversi intendimenti in merito alla giustizia. E’ una lettura fra i passi del primo libro della Repubblica di Platone quella che offre il novero delle credenze in merito a ciò che si può ritenere giusto.

La giustizia consiste nel «fare il bene agli amici e il male ai nemici» ricorda Polemarco, nel segno della tradizione, citando il poeta Simonide. Sennonché l’intervento del sofista Trasimaco introduce la nuova idea che la giustizia sia «l’utile del più forte». Bisogna però spingersi fino al quarto dell’opera per intendere quale sia la posizione platonica; quella per cui giusto è quell’organismo individuale o pubblico in cui «ogni parte svolge (bene) il suo proprio compito».

Sono prospettive differenti che, nella odierna scuola della ‘competenza alla cittadinanza’, possono suscitare un dibattito fra gli studenti su quale sia il vero intendimento della giustizia; ma, ancora prima, in un volo di ricognizione sul reale, quale sia quella diffusa per esempio nel nostro Paese. E in questo volo di ricognizione sul reale un buon docente deve fare in modo che si analizzino dei documenti. In prima battuta, gli articoli dei quotidiani e poi più propriamente documenti storici.

Si può, per esempio, prendere le mosse dal brutto fatto in cui i due carabinieri di servizio a Firenze avrebbero molestato due studentesse americane. I due carabinieri non hanno, al minimo delle accuse, «svolto il loro proprio compito». Dunque è giusto che vengano almeno espulsi dall’Arma. Sennonché subito uno studente di quelli che hanno la comitiva in periferia si potrebbe alzare e dire: «Caro professore, ma allora, perché per Stefano Cucchi la famiglia ha dovuto tribolare così a lungo prima che a qualcuno sia stata riconosciuta una responsabilità a cui dover rispondere?». E potrebbe continuare: «Qui, dietro, ci sono gli Stati Uniti, e te credo che li sospendono …». Così, nella vena polemica della gioventù, se ne alzerebbe subito un altro a dire: «Ecco: e perché Stefano Cucchi è stato pestato a sangue e invece Ruby è stata riaccompagnata a casa piuttosto che essere portata in carcere».

Poi si leverebbe la voce del più informato, di quella parte della città in cui in casa ancora si parla, e anche sottile: «Professore, mio padre mi ha raccontato che dei piloti di aerei da guerra americani giocarono a fare i top gun sull’Alpe del Cermis e tranciarono i cavi di una funivia causando venti morti. Ma gli Stati Uniti riuscirono a far rientrare quei piloti a casa senza che essi fossero condannati e nemmeno processati».  Un altro studente, di quelli intrigati dal fascino da rotocalco della tipa, allora: «Infatti, come hanno fatto con Amanda Knox; non avrà avuto il prestigio dei Marines da difendere e dunque è stata processata, ma poi se l’è cavata! Ha visto, sta bene adesso coi capelli corti!».

Comincerebbe a serpeggiare per la classe, fra la borgata, la Roma bene e quella bipartisan del gossip, l’idea che in fondo «la giustizia è l’utile del più forte».

Fino a che questa idea non troverebbe la parola in un’altra affermazione di sfiducia: «In effetti, professore, noi deboli italiani non riusciremo mai a trovare il colpevole delle torture e dell’uccisione di Giulio Regeni». Così subito uno di quelli che magari danno qualche volantino con le scritte in caratteri romani: «Eh prof … i Nostri Marò se li sono tenuti più di due anni in India». Lì allora rinforzerebbe la parola la voce di un altro di quelli nella cui famiglia ancora qualcosa si dice: «Eh sì, professore, mia madre mi ha raccontato il caso di una giornalista italiana che era sulle tracce di un traffico di armamenti e di rifiuti tossici in Africa … come si chiamava? Adesso non me lo ricordo?». «Si prof – una ragazza agguerrita, con il suo look da anni Settanta – Ilaria Alpi, si chiamava Ilaria Alpi».

«Prof – concluderebbe la ragazza e fra un coro di approvazione della classe a gesti e parole – la giustizia è l’utile del più forte!».

Grr … e adesso da dove si comincia a dire che aveva ragione Platone?! Che la giustizia sta nel fatto che ognuno faccia il suo proprio compito? A partire da quelli che devono fare loro a casa il pomeriggio?!

Oddio … la campanella per fortuna! Che si va in quarto e lì, più confacemente a quanto credono i ragazzi oggi, dobbiamo parlare di «quel grande / che temprando lo scettro a’ regnatori / gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela / di che lagrime grondi e di che sangue». E torna buono anche Platone … che se non studiamo nemmeno più continueremo a vedere gli allori che dobbiamo sfrondare ai regnatori … studiamo … facciamo il nostro compito!

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Chi è Giuseppe Cappello

Giuseppe Cappello è nato a Roma nel 1969.

Dopo gli studi classici si è laureato in Filosofia presso l’Università di Roma «La Sapienza».
Insegna filosofia e storia al Liceo.

Ha pubblicato diverse sillogie di poesia: "Le danze dell’anima" , "Il canto del tempo", "Il gioco del cosmo", "Scuola", "Dì d’infinito" e "Vita nuova".

Autore del libro "Viaggio in Grecia" e ultimamente anche di un CD musicale dal titolo "Days of Infinity".

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