Aristotele e la pseudodidattica delle competenze
(pubblicato su il Fatto Quotidiano del 26/06/2018)
Si sono levate più lamentele sul fatto che la versione di greco dell’esame di maturità fosse di un autore, Aristotele, solitamente non praticato nelle traduzioni. Molti di coloro che si lamentano sono gli stessi che da anni ci riempiono le orecchie con la scuola delle cosiddette competenze. La scuola in cui si dovrebbe insegnare ad acquisire delle formali abilità universali con cui poi ‘cavarsela’ su tutto. Ma appunto la verità è che le competenze si acquisiscono con la pratica matta e disperatissima dei contenuti. La leggerezza diffusa su questo semplice principio pedagogico ormai non mi stupisce più. Ciò che invece in fondo mi stupisce è che questa pseudodidattica delle competenze sia di origine anglosassone; di una cultura e di una civiltà che ha fatto dell’esperienza e dell’esperire la sua cifra in ogni ramo del sapere; in cui gli stessi principi logici della mente vengono pensati come il frutto di un’acquisizione empirica. La conclusione che si potrebbe allora a buona ragione tirare è che questo mantra pedagogico delle competenze non sia altro che un complesso di inferiorità anglosassone rispetto al razionalismo franco-tedesco e più in generale alla cultura continentale e mediterranea. Un complesso di inferiorità che sta generando una vera e propria inferiorità culturale. Peraltro con la spocchia e l’arroganza della superiorità. Per tradurre il greco e in generale per il sapere non c’è una scorciatoia da poter disegnare malamente a tavolino. L’unica scorciatoia, nel tradurre il greco, nel sapere e nello stesso vivere con virtù (aretè) e in vista della felicità (eudaimonia), è la strada più lunga. Chi si illude di poterla aggirare, nel greco, nel sapere e nella vita … prima o poi arriva sempre il momento di Aristotele!