La fase due e il primato della politica
Credo che, al di là delle questioni di ordine tecnico, il passaggio dalla cosiddetta ‘fase uno’ alla ‘fase due’ debba essere inteso soprattutto nei rapporti fra lo Stato e il cittadino; se nella prima fase era lo Stato a dire cosa il cittadino dovesse fare, nella seconda fase, in un senso di più alta responsabilità civile, è il cittadino che si dovrà porre il problema di ciò che egli debba e non debba fare per lo Stato. Più in sintesi: se prima era lo Stato che diceva al cittadino: ‘devi’; ora è il cittadino che è chiamato a dire di fronte allo Stato: ‘devo’. Questo è il senso della democrazia ovvero di quel sistema politico in cui gli appartenenti al corpo politico non sono dei semplici sudditi ma appunto autocoscienti cittadini che sanno interpretare la misura entro cui cade ogni regola dei rapporti con l’altro. La democrazia, ovvero il potere del popolo, non è la cornice in cui ognuno possa pensare di poter fare ciò che vuole; è esattamente invece lo spazio in cui a ognuno viene affidata la responsabilità del rapporto con l’altro. La responsabilità, nello specifico, a saper individuare di volta in volta il punto di equilibrio fra i diritti che sono alla base di uno Stato liberale: la vita, la salute, la libertà e la stessa proprietà. Dentro questo spazio e questa dialettica ognuno di noi è chiamato a muoversi; e non come suddito appunto, ma come soggetto. In questo consiste il primato della politica sulla stessa scienza: i medici ci mettono in guardia sulla vita e sulla salute; gli economisti, a loro volta, ci mettono in guardia sulla proprietà. Sennonché la capacità di individuare di volta in volta il giusto mezzo fra il diritto alla salute e quello alla proprietà, entrambi finalizzati alla preservazione dell’originario diritto alla vita della persona, risiede nel diritto che in una democrazia viene pensato come congenere alla stessa vita: la libertà. E su questa si parrà la nostra nobilità.