Totti. Il Capitano e l’eco di Achille
(pubblicato su ‘la Stampa’ del 24/02/2016)
Scrivo di solito su questioni di ordine politico o inerenti al mondo della scuola. Questa volta l’argomento può sembrare anomalo ma in fondo si tratta sempre della vita della polis; di quella città che risponde al nome di Roma e in cui, in questi giorni, si è paventato il ‘dramma’ di una leggenda collettiva. Parlo di Francesco Totti. Il Capitano. Lo incontrai, già nel pieno della fama, per i vialetti di Trigoria al ritorno dalla seduta di allenamento e la sensazione immediata e sorprendente che ebbi, da quell’uomo intorno al quale si fantastica nei termini di un semidio e pure di milioni di euro, fu quella di un ragazzino che si può incontrare in qualunque angolo della Città a palleggiare con i suoi amici. Ora in realtà i ragazzini hanno abbandonato le piazzette e le strade per ritirarsi nel gioco virtuale della playstation. Ma a me, cresciuto fra le sbucciature delle ginocchia in un’infinita partita che si apriva per la strada dopo i compiti della scuola, Francesco Totti apparve innanzitutto in questa veste. Prepotentemente in questa veste. Che poi credo non sia una veste quanto la sua irriducibile essenza. Lo straordinario talento ne ha fatto quindi un campione internazionale e un probabilmente l’ultimo degli eroi del calcio. Sennonché il segreto di questo idolo credo sia quello di essere stato sempre affamato allo stesso modo del gioco del calcio, del pallone. E così si spiega la sua sofferenza dell’ultimo week-end; e con lui quella di un’intera città. Come la sofferenza del ragazzino che la madre richiama dal balcone per la cena serale e, fra una sbucciatura e l’altra sui marciapiedi di questo suolo millenario, non ne vuole sapere di risalire a casa. Il semidio è appunto un semidio, per metà uomo e per metà dio; per metà uomo e per metà bambino. E come ad Achille non si poteva chiedere di riporre l’ira così è difficile chiederlo a Francesco Totti; come ad Achille non si poteva chiedere di non combattere di fronte alla morte certa così è difficile chiedere, anche con la migliore delle ragioni, a Francesco Totti di recedere dai suoi panni di Capitano di una squadra e di una città che i suoi scudetti li vince innanzitutto sul manto di gioco del sentimento. Qualcuno certo lo dovrà fare: nel segno del logos calcistico, l’ottimo professionista che guida la squadra; quindi, in quello non trascurabile del sentimento, forse proprio la madre di quel ragazzino che non ne voleva sapere di risalire a casa per la cena.