Il governo Conte e l’imperativo della sinistra
Scrivo queste righe più nel segno di un sentimento che della riflessione; di un brivido che mi corre lungo la pelle mentre la penna del Capo dello Stato sta probabilmente correndo lungo il figlio con cui egli deve conferire l’incarico al nuovo Presidente del Consiglio, il Professor Giuseppe Conte. Ora che questa prospettiva si sta concretizzando è infatti come se tutt’insieme mi assalisse l’inquietudine che prima poteva essere solo un’astratto e distaccato giudizio della ragione.
L’inquietudine di chi sente la concretizzazione del governo nato sulle pulsioni di una plebe furente, di una borghesia padronale e l’apatia di un’opposizione, quella del PD, senza più un principo politico ispiratore e invece agonizzante fra ciechi tatticismi, dilanianti giochi di potere e più alcuna empatia con la società italiana. L’inquietudine di chi vede un Capo dello Stato solo, ultimo serio testimone di una razionalità costituzionale che gli istinti più ciechi, del popolo e della classe dirigente, sembrano travolgere come un fiume in piena. Un fiume in piena rispetto ai cui flutti devastanti nemmeno l’Europa di Bruxelles può rappresentare un argine rassicurante. Ci sembra piuttosto che ogni intervento d’Oltralpe non faccia che alimentare la propaganda dei demagoghi giallo-verdi. Nemmeno lo scudo Atlantico statunitense sembra poter rassicurare: lontana è la presidenza di Obama e più che mai infida quella di Trump; così come l’inclinazione filorussa a cui Salvini e Di Maio sembrano piegare il Paese.
Un’inquietudine insomma che, dal momento in cui subentra la riflessione, sembra avere sotteso al suo fondo un filo rosso: lo svuotamento e l’accasciamento su se stesso dello stato liberal-democratico e sociale della democrazia rappresentativa e della sovranità della legge; dello stato di diritto.
Salvini ha detto che il nuovo conflitto globale è quello fra il popolo (che in Italia ha appena trovato, per suo stesso dire, il suo avvocato) e le élite; a noi sembra che il governo che è appena nato sia piuttosto una saldatura fra il popolo e le élite. Una saldatura nazionalista che in Italia ha già avuto tristi manifestazioni. Ci sembra che il nuovo conflitto globale sia ancora una volta quello per la tutela dello stato di diritto; che non potrà sopravvivere se, con uno sforzo titanico, la sinistra (italiana e mondiale) non si risolleverà su se stessa grazie innanzitutto a un’idea: quella per cui lo stato liberal-democratico può essere tale solo in quanto non si faccia pervicacemente sociale.
Scriveva Guido Calogero che «il liberale vecchio era convinto che il liberale non può essere socialista: il liberale aggiornato s’è accorto che può esserlo. Non però, ancora, che deve esserlo». Perché la sinistra possa rinascere è questa l’unica imperativa reminiscenza salvifica: l’idea che per tutelare la libertà, proprio in questi tempi di populismi, di fronte al popolo non si può non rialzare fermamente la bandiera della riduzione massiva delle disuguaglianze. Nell’attesa spasmodica che ciò possa almeno solo essere messo all’ordine del giorno, l’unica luce che in Italia ad oggi sembra il riferimento per ogni democratico consapevole è quella che siamo sicuri continuerà a brillare nella figura del Presidente della Repubblica.