L’insostenibile infinitezza di Roma
Discutiamo da troppo tempo in modo effimero di questa città. La verità, riflettevo, è molto più profonda. Su una terra che ha visto il più grande Impero di tutti i tempi in cui gli uomini diventavano dèi e sotto un cielo che ha visto la più grande religione di tutti i tempi in cui addirittura Dio si è fatto uomo; in un luogo in cui fra cielo e terra ancora si respira e ci si nutre anche inconsapevolmente di questo farsi assoluto dell’essere, è verosimile che ci possa essere ancora l’illusione della progettualità del quotidiano, della finitezza? Non è questa città il luogo in cui si possa pensare attraverso la ‘sana’ categoria dell’essere determinato; città dell’Essere è Roma; ma poiché tutto l’Essere in essa si è dispiegato ed esaurito adesso non vi è altra categoria in cui si possa pensare se non in quella all’Essere speculare nella totalizzazione; il Romano e chi di questa terra e di questo cielo si nutre non può guardare alle cose del mondo se non attraverso la lente nientificante del puro Nulla. Nulla gli è più di scandalo, nulla gli è più di fede. Nulla qui, da molto tempo, può più essere seriamente preso in considerazione fra i progetti e le cose dell’uomo.