Il nuovo orizzonte della laicità
Una buona parte del dibattito parlamentare che ha scritto il capitolo finale della tragicommedia del governo gialloverde si è dispiegato sull’utilizzo dei simboli religiosi nella lotta e nella propaganda politica. È stato un tema del discorso di Conte e degli interventi di Salvini e di Renzi. Fino l’imbarazzante intervento di Morra che probabilmente non ha capito di cosa si stava parlando nell’aula del Senato. Evidentemente i mojito balneari non sono una produzione esclusiva del Papeete; anche se in questa estate la palma dei migliori, o solo dei più alcolici, se la sono certamente aggiudicati a Milano Marittima. Ma insomma, fra una mutanda e una cravatta riannodata in fretta per raggiungere il Parlamento, la religione ha certamente occupato i pensieri del più importanti leader che abbiamo ascoltato a Palazzo Madama. Nell’inappuntabile ma al tempo stesso tardivo (il logos non era certo intonato con il cronos) discorso di Conte, fra le molte cose condivisibili che vi abbiamo potuto ravvisare, c’è stato il pensiero illuminista e liberale della separazione della religione dalla politica con una forte rivendicazione della laicità della politica. Uno spunto di riflessione importante, quello della laicità della politica, che però pure esso è, nel contenuto, tardivo. È infatti lecito aspettarsi che nel 2019 il problema della laicità dello Stato sia un dato acquisito nelle cosiddette società occidentali. E non sovrasti invece un nuovo terreno su cui la laicità della politica è chiamata oggi a misurarsi. Il terreno della separazione fra la politica e l’economia. O, per dirla meglio, di un recupero del primato della politica sull’economia. È questo oggi il problema, dalla provincia italiana ai centri dell’Impero, della laicità dello Stato. Dove la laicità venga concepita nel suo significato più profondo e universale. Il primato dell”azione dell”uomo su un sistema a lui trascendente (anche se presso di lui) che ieri poteva essere di ordine teologico e oggi è certamente di carattere economico. Dio ha certamente abbandonato le chiese per trovare il suo nuovo tempio fra le mura delle multinazionali e il culto del denaro. Probabilmente ha abbandonato le stesse Roma e Gerusalemme per trovare le sue nuove città eterne nella Valle del Silicone. Di qui il nuovo ecumenismo globale dei centri commerciali. E allora, se è lecito prendere spunto dalla pochezza e dalla irrilevanza del microcosmo italiano con le sue sbronze di mezza estate, una riflessione può forse essere elevata al rango della sobrietà del pensiero: la riflessione di quanto la laicità, nelle nostre società capitalistico-finanziarie, debba soprattutto essere rideclinata nel rapporto fra la politica e l’economia. È questa la sfida, qualora si intenda il significato profondo del concetto della laicità, di un nuovo umanesimo. Riportare oggi l’uomo al centro, e magari con esso e per esso, il suo grembo materno della natura; riportare sulle sue spalle e nella sua testa la regìa dell’organizzazione della società e dell’ambiente; quella regìa che oggi sembra essere stata alienata nel grande cieco meccanismo del denaro verso cui si tributano sacrifici sempre più evidenti di esistenze povere, ecoinsostenibili e infelici; il sacrificio della stessa permanenza del genere umano sulla terra.