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La Cina, l’Europa e il principio inderogabile

By admin
marzo 2, 2020
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Dopo essere stata additata come il centro globale degli untori, ora la Cina (i cinesi sono un’altra cosa) in quattro e quattrotto è diventata il centro dei benefattori dell’Italia. La solita schizofrenia della pulsione, per dirlo con Lucio Dalla, «di questo mondo che brucia in fretta quello che ieri era vero». Io mi permetterò di dire, a  costo di sembrare cinico rispetto al vero di oggi, che non ho nessuna ammirazione per la Cina e che la loro presunta vicinanza non mi suscita nessun sentimento di altrettanta corrispondenza. Per tre motivi. Innanzitutto perché è in Cina, fra l’incuria e l’occultamento, che è nato questo guaio globale del Covid-19 e vorrei ben vedere che non ci sia almeno uno slancio a dare una mano rispetto a coloro presso i quali hanno causato morti e sofferenze; in secondo luogo, che è quello su cui mi sembra di dover maggiormente insistere, perché, come insegna Machiavelli, bisogna sempre diffidare di uno Stato (specie se più grande) che dia una mano ad un altro Stato; puntualmente quella mano che sembrava essere del salvatore si è rivelata la stessa con cui si è disposto a proprio piacimento dello Stato che era stato poco prima salvato (da Carlo VIII al piano Marshall la storia insegna); infine, forse qualcuno lo dimentica, lo Stato che sta apparentemente dando una mano è uno Stato autoritario. Si grida tanto alla Germania e all’Europa e poi ci si commuove di fronte al presunto gesto di vicinanza, il cui disinteresse è tutto da verificare, di uno Stato autoritario, totalmente antidemocratico e imperialista.

Non me se ne voglia, ma la mia casa, nel bene e nel male, rimane l’Europa e, in specie, rispetto a chi grida ogni due per tre all’imperialismo statunitense non capisco come poi non veda quello cinese (e quello russo che peraltro nel silenzio generale sta mettendo mano all’ennesimo colpo di stato per perpetrare l’autocrazia di Putin). Questo problema dobbiamo risolverlo da Europei e spero piuttosto che Francia, Germania e Inghilterra siano rapidi a prendere le misure più adatte alla situazione. Anche perché poi si porrà ancora più stringentemente il problema di una Europa unita economicamente, politicamente e anche militarmente. E capiremo come la salute fisica non può non essere preservata se non con la costruzione e la cura della salute pubblica… europea e democratica!

Riprendo oggi quanto ho scritto ieri per un pezzo che per la prima volta scrivo in due giorni.

Sono due settimane, alcune volte ho dovuto attendere tre mesi, che aspetto di poter contattare un mio ex studente che, a differenza di quelli che ne fanno un ente di ragione e la idolatrano, la Cina l’amava veramente e ci è andato a vivere. In proposito mi chiedo e chiedo se è una cosa normale non poter raggiungere una persona cara, pure con un solo messaggio tramite whatsapp, un affetto vivo … se questa è civiltà!

Sennonché non voglio celare a me stesso le criticità dell’Europa che sembra anche essa dare la parvenza di un ente di ragione quando gli Stati, come sembra accadere, vanno in ordine sparso e sempre con il pensiero egemone degli interessi nazionali. La Cina non mi interessa capirla; l’Europa non riesco a capirla e questa cosa mi addolora profondamente.

Probabilmente devo ricordare le lezioni del mio Professore universitario Francesco Valentini sulla concezione hegeliana dell’utopia politica di Platone. Li dove, per Hegel, ci spiegava quel Maestro indimenticabile, l’utopia della Repubblica di Platone non era un’utopia ma una topìa. Qualcosa che c’era stato e di cui l’immenso filosofare platonico era più un sogno di re-instaurazione che un vero e proprio progetto per il futuro. Così in realtà è andata: a pochi anni dalla morte di Platone, le divise città stato elleniche non ebbero la forza ed evidentemente proprio lo spirito costituzionale di replicare le gesta di Maratona, Salamina e Platea del secolo precedente; furono invece, prese a combattersi l’una con l’altra e a dividersi esse stesse in fazioni capeggiate da demagoghi senza statura politica fino a che non persero la loro proverbiale eleuteria, la loro libertà, consegnata al gigante macedone di Filippo II e poi di Alessandro Magno.

Evidentemente oggi, più di ieri, anche in virtù della improvvida uscita di Cristine Lagarde, è il giorno del pessimismo della ragione ma certo esso non farà piegare mai il mio ottimismo della volontà a residui donchicottesti culti terzinternazionlalisti come nemmeno ai loro speculari sanchopanzeschi lividi nazionalismi. Se però il pessimismo della ragione può essere, in alcuni momenti, non solo un lusso ma un onesto atto di igiene intellettuale, l’ottimismo della volontà rimane, oltre esso, il più alto dei doveri morali della stessa ragione. Sempre dalle lezioni di quell’indimenticato e indimenticabile Maestro universitario ricordo la parola ultima della lezione kantiana … “fai quel che devi, accada quel che può”! E per me il dovere, da quanto ho scritto, rimane uno solo: da Platone a Hegel, da Maratona fino a Kant, quello della costruzione di un’Europa politica indipendente e liberale, democratica e sociale.

 

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Chi è Giuseppe Cappello

Giuseppe Cappello è nato a Roma nel 1969.

Dopo gli studi classici si è laureato in Filosofia presso l’Università di Roma «La Sapienza».
Insegna filosofia e storia al Liceo.

Ha pubblicato diverse sillogie di poesia: "Le danze dell’anima" , "Il canto del tempo", "Il gioco del cosmo", "Scuola", "Dì d’infinito" e "Vita nuova".

Autore del libro "Viaggio in Grecia" e ultimamente anche di un CD musicale dal titolo "Days of Infinity".

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