La vera fusione a freddo del PD
(pubblicato su il Manifesto del 20/04/2013)
Pensavo di esordire in questo commento sulla vicenda dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica addirittura con un richiamo alla scissione di Livorno del 1921; quella scissione della sinistra italiana che spalancò le porte all’avvento del fascismo e che forse può essere ritenuta la madre di tutte le scissioni e le sconfitte che avrebbero seguito. Sennonché, su questa strada, mi sono subito fermato perché mi avrebbe portato nell’errore in due sensi: quello della nobilitazione di quanto è avvenuto nel PD in questi giorni e quello del non intendimento di quella che è stata la vita politica italiana degli ultimi venti anni. La cartina di tornasole grillina, infatti, ha gettato la luce su quelli che sono stati appunto i rapporti nel PD e i rapporti del PD con Silvio Berlusconi. Appare chiaro che all’interno del gruppo dirigente del PD non vi sia stata una fusione a freddo fra ex comunisti ed ex democristiani quanto piuttosto una fusione a freddo fra un ristretto numero di gente per bene e un cospicuo numero di persone che, in virtù dei propri interessi privati e della incapacità di raggiungerli in prima persona, si è rivolta alla generosità di Silvio Berlusconi. Le indicazioni delle sei votazioni per la Presidenza della Repubblica hanno lacerato in questo senso quel velo di Maya che ancora tenue resisteva di fronte al volitivo, fino all’ingenuità, elettorato del PD. Nessuno più, dopo quanto è accaduto in questi ultimi giorni, può infatti non individuare in Prodi e Rodotà quelle persone intellettualmente forti e quindi libere che hanno contrastato veramente Silvio Berlusconi e hanno cercato di dare all’Italia una prospettiva politica e culturale diversa; e, d’altro canto, non rinvenire in D’Alema e Marini (pur non dimenticando Veltroni e Rutelli) quanto più d’accatto c’era di intelligenza e di libertà all’interno del PD. E così per le relative correnti. Un partito mai nato, dunque, non per la fusione a freddo fra ex comunisti ed ex democristiani ma per la fusione a freddo fra l’intelligenza e la libertà da una parte e la mediocrità intellettuale e morale dall’altra parte. Quella parte che in gran numero, ahilui, circondava con grande lusinga Enrico Berlinguer e a cui probabilmente la sua severità bonaria guardava quando, dovendo prendere atto della mediocrità dei suoi delfini, riservava appunto la sua bonarietà verso il loro l’intelletto, la cui deficienza non è una colpa, e la sua severità ai loro embrionali ma già promettenti costumi. E lanciava il tema della questione morale non potendosi illudere di aver il benché minimo successo su quella intellettuale. Ma è questo il punto su cui anche Berlinguer si ingannava e dove più che Franco Rodano lo avrebbero ben illuminato Socrate e Spinoza i quali gli avrebbero fatto innanzitutto presente l’impossibilità dell’emancipazione morale senza una vera emancipazione intellettuale. E non si dica che questo è snobbismo culturale: proprio i padri del socialismo italiano pensarono di mettere, nel simbolo del nascente partito, in sostegno della falce e del martello, e sotto l’aurora del sole dell’avvenire, un libro… aperto!