Scuola: unica riforma la cultura
(pubblicato su ”il Riformista” del 12/06/2008)
Gentile direttore,
ho appena finito di ascoltare il ministro Gelmini e ci sono un paio di punti dei suoi discorsi che mi lasciano fortemente perplesso. Ci ha spiegato, il ministro, che la via della ristrutturazione della scuola passa attraverso un ridimensionamento dell’organico degli insegnanti: i più bravi e quelli più motivati dovranno essere meglio retribuiti e a loro dovrà essere affidata la riscossa della scuola italiana. Un punto condivisibile solo a una lettura superficiale. Innanzitutto la prima obiezione che può sollevare qualsiasi docente che conosca solo un po’ la scuola è quella per cui le possibilità operative di un insegnante sono inversamente proporzionali al numero degli studenti che compongono una classe. Ridurre il numero degli insegnanti significherebbe così aumentare la quota di composizione delle classi con un disagio sicuro anche per i docenti più preparati. E, sulla preparazione dei docenti, una seconda perplessità si fa ancora più forte. Il ministro ha parlato di educazione permanente e, avendo conosciuto direttamente i personaggi e i meccanismi che affollano le cattedre della disgraziata galassia delle scuole di specializzazione per l’insegnamento secondario (SSIS) e dei corsi abilitanti, il progetto del ministro mi fa tremare le vene e i polsi. Per i meccanismi: quello che si chiede ai docenti in formazione non è la capacità di condurre dei progetti di ricerca che amplino il loro bagaglio culturale e possano migliorare il loro insegnamento sul piano dei contenuti; piuttosto lo studio e l’elaborazione di tabelle e controtabelle, schemi, sistemi labirintici di frecce e controfrecce, grafici e misurini improbabili con cui testare ciò che lo studente “sa, sa fare e sa essere”. Per i personaggi che poi conducono questi corsi mi sia consentito di fare appello a un aneddoto eloquente. Durante i dolorosi anni della SSIS ebbi a relazionare sulla attività didattica di un ottimo docente presso cui facevo il tirocinio nella scuola statale. Presentai così al supervisore del tirocinio, una di queste improbabili figure che insegnano a insegnare, l’attività del docente scolastico e mi soffermai su un punto: mi aveva colpito, a fronte di una didattica molto aggiornata nei contenuti, l’impiego di brevi incisi in latino che risolvevano il significato di un concetto e aumentavano la tensione spirituale dei ragazzi intorno al problema. E, così come ho cercato brevemente di scrivere, descrissi la valenza dell’uso della lingua dei classici quale importante intercalare in una spiegazione di filosofia o di storia contemporanea. Bene, l’interlocuzione del supervisore, emblema della gente nelle cui mani finirebbe per la grande parte la misurazione del lavoro dei docenti, fu testualmente questa: “E’ un ottimo uso quello del richiamo a Tacito, è come se in quel momento la spiegazione fosse in corsivo”. Qui “caddi come corpo morto cade” e come penso sia destinata a cadere l’intera scuola qualora sia per gli alunni che per i docenti il fulcro dell’attività non tornino a essere i contenuti, la cultura.