Salvini e la Prof di Palermo … un Filmer già visto
In questa settimana ha fatto molto discutere la sospensione della professoressa di un istituto di Palermo che non avrebbe vigilato in maniera adeguata sulla strutturazione di alcuni lavori dei propri studenti fra cui ne è uscito uno in cui, anche in immagine, veniva istituito un parallelo fra le leggi razziali promulgate dal regime fascista nel 1938 e il decreto sicurezza pensato dal Ministro dell’Interno Salvini. Come sia andata tutta la vicenda, in fondo, ognuno di noi che non era lì e che ha capito quanto l’informazione ormai crei una grande bolla immaginaria può bene ammettere di non saperlo. Ho però certamente visto una collega, la professoressa di Palermo, dal cui volto, nel video in cui veniva intervistata sull’accaduto, traspariva la frustrazione di chi, dedicata una vita all’insegnamento, era lei a prendersi oggi una sospensione; quella sospensione che ormai molti dirigenti non hanno più la forza di comminare nemmeno a quegli studenti che si rendono rei di una grave infrazione al codice scolastico. Magari proprio contro un loro docente. Al limite, per gli studenti, si ripiega sulla soluzione all’italiana della sospensione con obbligo di frequenza; e pure per avere un provvedimento di questo genere devono veramente averla fatta grossa. Innanzitutto verso i loro compagni di classe. E’ dunque chiaro che la punizione dell’Ufficio scolastico di Palermo alla Professoressa è stato oggetto di molte critiche e di discussioni con diverse interpretazioni. A ognuno, in questo senso, lascerei la sua. E il suo modo di sostenerla. Ciò che invece mi ha colpito e su cui ho meditato è il fatto che, subito, il Ministro dell’Interno Salvini abbia espresso, anche lasciando trasparire una certa benevolenza, l’intenzione di incontrare la professoressa. Mi è venuto allora alla mente in questo senso un libro di un filosofo della politica inglese del XVII secolo. Si tratta de Il Patriarca di Rober Filmer. Un libro in cui viene giustificato il potere del governante, nel caso specifico del re, nel segno di un’analogia con la figura del padre di famiglia; del patriarca appunto. E’ un abito, quello del patriarca che, al di là di ogni felpa, si addice su misura a Salvini. E nello specifico si addice al Ministro dell’Interno nella sua volontà di incontrare la professoressa. Immagino che il suo intento politico, nella volontà di incontrare la professoressa, sia stato e sia quello di recarsi a Palermo per fare passare nell’opinione pubblica e nelle menti degli italiani un messaggio e una cultura ben precisa. Il dissenso, qualora si manifesti nella maniera in cui può suscitare scandalo e riflessione, deve essere metabolizzato e può essere addirittura tesaurizzato nella prospettiva del patriarca che va ad ascoltare il suo figliuol prodigo. In realtà, in questo caso, vale bene anche per il padre mostrasi prodigo proprio perché quella dialettica del pensiero critico venga anche essa riassorbita in una sorta di bonapartismo in cui il novello padre della patria assuma e ricomprenda appunto nella sua figura e nella sua persona lo spirito sia del consenso sia del dissenso. Che diventano, più che consenso e dissenso, esclusivi moti affettivi per cui il padre ne esce sempre appunto come padre. Questo è a mio avviso il vero nodo della questione. Un nodo che cela ancora una volta il problema, non solo per ciò che riguarda le forme istituzionali ma anche e soprattutto per ciò che riguarda la sensibilità popolare, della regressione rispetto ai principi dello stato di diritto. Quello stato di diritto la cui prima e originaria lezione noi abbiamo appreso proprio da chi per primo, sempre nel Seicento, criticò il libro di Filmer e la sua concezione paternalistica del governo; che noi abbiamo appreso da John Locke che proprio contro il Patriarca di Filmer scrisse il suo Primo trattato sul governo. Premessa critica del governo paternalistico per poi scrivere nel Secondo trattato sul governo, l’apologia dello stato di diritto e di quella forma istituzionale in cui non esistono né padri né figli ma solo cittadini che esercitano attivamente e nel segno della raggiunta maggiore età della ragione il governo democratico del loro Stato. Cosa che in fondo, poi, segna la profonda distinzione fra un’antropologia e una stessa psicologia maturata a destra e un’antropologia e una psicologia maturata a sinistra: chi da una parte cerca dovunque, anche in politica, un padre che lo guidi; chi, dall’altra, fratelli con cui condividere la strada molto più impegnativa della maggiore età.