I timori e le sfide tra polis e cosmo
Del diman – scriveva Lorenzo dei Medici – non v’è certezza: speriamo! Perché ci sono interrogativi e segni inquietanti, di ordine economico, sociale e politico, che oggi sembrano riportare l’Italia e l’Europa ai primi decenni del Novecento. Soprattutto se lo sguardo si incrocia poi con la dimensione politico-economica globale.
Ad oggi sembra che – e lo scriviamo ancora persuasi della inaggirabilità del sistema capitalistico – l’evoluzione economica della produzione capitalistica sia divenuta incompatibile con l’involucro politico democratico.
Le maggiori potenze economiche ovvero la Cina, la Russia ma anche gli Stati Uniti di Trump, si manifestano come i luoghi in cui vi è la maggiore compressione dei diritti, politici e sociali; i luoghi che, interagendo con l’Europa per osmosi economica, fanno sì che anche essa sia sempre più costretta a ristrutturare la sua fisionomia socio-politica. In un processo osmotico appunto che vede sempre più legate la sostenibilità della competizione economica intercontinentale con la dismissione continua di diritti sociali. Si può a ragione dire che oggi, in Europa, dove più dove meno, paghiamo in diritti sociali e crisi delle istituzioni democratiche il cambio con le monete cinesi, russe e statunitensi.
Un’Europa che, peraltro, a guida tedesca, deve augurarsi sempre che, in quello che è il suo Paese trainante, lo spirito di Weimar non debba mai doversi venire a consumare sotto i colpi di spinte pangermaniste sul Continente. Che il sogno di Altiero Spinelli non debba piuttosto tramutarsi nell’incubo di un’entità sovrannazionale, in omologia a Cina e Russia, con i caratteri di quello che in questa nostra terra ha preso il nome di Reich.
I populismi esorcizzano queste paure con la vacua prospettiva di un ritorno al passato. Le sinistre, per loro natura progressiste, dovrebbero essere in grado, in quello che si prospetta come un compito titanico, di riuscire a coniugare ancora, nel Continente del Welfare, politica ed economia. Ciò che è certo è che ad oggi sembrano in netto ritardo rispetto a questa sfida. Titanica ed epocale. Politica e culturale.
In ritardo anche sulla consapevolezza dei rapporti che l’economia, in un’osmosi sempre più cieca e fatale tra i giganti industriali del pianeta, intrattiene con un involucro ancora più significativo di quello democratico che garantisce la coesistenza pacifica nella storia; l’involucro ambientale che, dal suo canto, ha generato e garantito fino ad ora la stessa esistenza dell’uomo nella natura. Un uomo, chiamato qui in causa, al di là di ogni appartenenza politica, perché in una notte deserta del cosmo di lui non debba rimanere che l’eco dell’urlo profetico di Roger Waters: «This species is amused itself to death».